domenica 30 novembre 2008

El idioma cuécuero

Proseguiamo la nostra carrellata di invettive contro le lingue europee. Oggi tocca a quei ripetenti degli spagnoli (ma ti faccio vedere che ci faccio entrare pure i francesi alla fine).

Devo riconoscere anzitutto che gli spagnoli non mi sono mai stati troppo simpatici. Anzitutto, quando parlano con la gente dovrebbero avere la crianza di togliersi la zeppola di bocca. Esempio:

La pa neesita y meree tiempo, neesita y meree prudenia, neesita y meree paienia después de más de treinta años de terrorismo, de violenia.

José Luis Rodrígue apatero

Inoltre, lo spagnolo è l'equivalente linguistico della musica techno, un tunz-tunz assolutamente privo di melodia. Voi che adorate lo spagnolo perché "è una lingua così musicale!", sappiate che è la lingua con meno vocali che io conosca (cinque, mentre in italiano sono sette, in francese una quindicina e in svedese tra diciotto e ventidue a seconda del dialetto...) ed è anche quella in cui tutte le sillabe hanno e-sa-ta-men-te la ste-sa lun-ghe-za (in italiano gli accenti tonici e le consonanti doppie allungano o accorciano alcune delle vocali). Insomma, sono quequeri. Ecco a cosa penso quando sento qualcuno parlare spagnolo:

D'accordo, nessuno è perfetto. Sicuramente in questo stesso momento ci sarà uno spagnolo che pensa le stesse cose dell'italiano e che sta riempiendo il suo pluio di improperi contro la pizza, il mandolino e 'a tazzulella 'e cafè.

Lasciamolo fare. Almeno NOI guardavamo Supercar, Charlie's angels e Airwolf e non El coche fantastico, Los ángeles de Charlie e El lobo del aire! Negli stessi anni, per inciso, i francesi guardavano K 2000, Drôles de dames (!), e Supercopter (!!!), per non parlare di Agence tous risques (vi lascio il piacere di scoprire cos'è).

Ma soprattutto, NOI non abbiamo mischiato le sigle dei cartoni animati!

Dopo un'infanzia del genere, che ti aspetti dai poveri spagnoli?

mercoledì 5 novembre 2008

Random walk / 3

"Se solo avessi avuto con me un condensatore elettrolitico", pensò Bemolle con irritazione mentre abbandonava sconfitto le pendici del monte e, con esse, la speranza dell'altezza. Assorbito da simili considerazioni e ricacciato nel fosco boschetto, dove ombre insostanziali di rami e foglie che stormivano al vento emergevano dalla quiete della notte e riempivano la sua visione periferica di immagini di rami e foglie che stormivano al vento, Bemolle non si accorse di un'insolita sequenza di gibigiane; e tà! si ritrovò a fianco un tizio dall'aria decisamente equivoca.

— E lei chi è?
— Ma guardi, sono uno... sono del Nord ma ho girato parecchio, ho vissuto un po' qui e un po' lì, ho fatto un po' questo e un po' quello...
— È un indovinello?
— Sì. Cioè, no. Magari dopo.
— E perché si è cinto il capo di una fronda di basilico?
— Mi piace l'odore.
— Davvero?
— No.
— Ah.
— No, perché poi quando viene il cane ti faccio vedere, eh.
— Quale cane?
— Non saprei.
— Forse il lupo.
— Antipatico, eh?
— Molto.
— Sarebbe bello salire sul colle...
— Eh.
— ...e rotolare giù.
— Alla faccia del lupo.
— Esatto.
— Esatto.
— Ma c'è il lupo.
— Già.
— Però...
— Però?
— Si può fare il giro.
— Che giro?
— Cioè, invece di salire per il sentiero, scendiamo sotto terra, usciamo dall'altra parte del pianeta, scaliamo una montagna e ci siamo.
— Come ho fatto a non pensarci!
— Andiamo?
— Andiamo.

Il tipo si mosse, e Bemolle gli tenne dietro.

martedì 4 novembre 2008

Random walk / 2

Il proclivio del colle era davvero invitante, non foss'altro che per il fatto di essere un proclivio. Bemolle collocò mentalmente la bella parola accanto a vasellame e periplo, tra le altre, e si concesse alcuni minuti di godereccia contemplazione della sua collezione; infine si diresse rinfrancato verso il sentiero che conduceva su per la collina. Lo aveva colto l'idea che, se fosse riuscito ad arrampicarsi fino in cima, da lassù avrebbe potuto scendere rotolando sull'erba.

Ahilui, la sua aspirazione fu presto frustrata dalla comparsa subitanea di un agile giaguaro che sbucò da un cespuglio di ossicocchi. Bemolle ruppe il passo e cercò di soppesare le intenzioni della fiera che gli si parava innanzi... minacciosamente, dirà il lettore. Ebbene, il giaguaro aveva piuttosto l'aria annoiata di chi ha passato tutto il pomeriggio sotto il sole a risolvere sudoku. A Bemolle comunque non parve giusto impicciarsi dei passatempi del giaguaro and tried to sidestep her nonchalantly; ma il giaguaro replicava i suoi movimenti passo per passo e gli impediva di proseguire il cammino.

"Drat", si disse Bemolle mettendosi un dito nell'orecchio. Il giaguaro lo imitò. Bemolle provò a offrirgli mentine per l'alito dolci, medie, forti e molto forti; gli recitò a memoria la quarta ecloga di Virgilio; tentò di convincerlo a salire con lui; cercò di affabularlo promettendogli imprecisati favori grazie a conoscenze influenti; gli mostrò le foto di quando da piccolo si rotolava nel fango; ma il giaguaro, a parte qualche grugnito di approvazione per le foto, rimase irremovibile dal suo proposito. Anzi si portò una zampa al muso e fischiò; le fronde dell'ossicocco si mossero e ne apparve un grosso leone dall'aria vagamente annoiata.

— Ho messo un sei, disse al giaguaro; ma questi fit semblant con albagia di non aver sentito e gli indicò invece le foto di Bemolle. Il leone drizzò le orecchie incuriosito. Le pose del buon Bemolle suscitavano un innegabile interesse presso i due quadrupedi e probabilmente rappresentavano un piacevole diversivo in un pomeriggio (o forse un'intera esistenza) di giochi enigmistici, allegorie e simbolismi; e poiché gli accadimenti insoliti non hanno bisogno di essere trasmessi a mezzo carta stampata, fu soltanto di lì a poco ai due felini si aggiunse un lupo dall'andatura ciondolante e visibilmente annoiata.

Alla vista del canide il leone immediatamente si irrigidì. Il lupo lo guardò di traverso, gli assestò uno scappellotto e gli intimò aggressivamente di tagliarsi i capelli. Il leone non nascose la sua vessazione e si allontanò con la proverbiale coda tra le gambe, seguito a poche zampate di distanza dal giaguaro; Bemolle (con gran delicatezza) aveva distolto lo sguardo dall'umiliazione del leone e aveva finito per trovarsi faccia a muso con quel prepotente del lupo dallo sguardo severo.

Ma le foto erano davvero irresistibili. Il lupo le osservò dapprima di sottecchi, con la coda dell'occhio. Bemolle gli fece notare che le chimere possono anche osservare con l'occhio della coda e il lupo parve positivamente impressionato; per cui questi si diede a sfogliare le foto con crescente attenzione, chiese lumi su qualche particolare e eventually annuì soddisfatto e concesse persino una pacca sulla spalla al nostro amico quadrioculato.

— Posso salire, allora?
Il lupo parve preso alla sprovvista.
— Ehmmmmm, disse mentre ponderava. Poi scosse il capo.

lunedì 3 novembre 2008

Random walk / 1

Bemolle s'era perso. Lo sguardo che saetta a 4π, il dito indice apposto al labbro inferiore e l'emissione continuata del suono "öööö" sono solo alcuni dei tratti comportamentali che permettono la sicura identificazione di colui che ha smarrito la via. Inoltre non è che ci fosse granché da fare in quel bosco, a parte perdersi, of course; Bemolle, in mancanza d'altro, vi si era dedicato con grande zelo, perché non era certo il tipo che faceva le cose a metà o tanto per fare: e così, oltre ad essersi inoltrato ben bene, aveva anche dimenticato come era finito in quel postaccio buio, umido e vagamente reminiscente del sifone del lavello.

Neanche la sua vasta conoscenza in materia di astronomia gli permetteva di orientarsi: il cielo era quasi completamente coperto e le poche stelline che ammiccavano ora qui, ora lì, potevano appartenere tanto al Baco da Seta quanto al Portamonete; e poi, a che vale sapere in che direzione si va se non si sa se è quella giusta? Tali erano le considerazioni che impegnavano il nostro eroe while he slowly, gloomily, unawarely and inexorably diffused away from wherever he was coming from.

Bemolle si era ormai allontanato di una distanza proporzionale alla radice quadrata del tempo trascorso nella selva quando, attraverso il fitto fogliame, intravide il contorno di una grossa mongolfiera.

— Äntligen, si disse — era ora che succedesse qualcosa in questa storia. Così, deciso a ravvivare la trama che languiva, rimpiazzò il suo incedere stocastico con una deterministica volontà di raggiungere il pallone aerostatico.

A circa un miglio di distanza Bemolle si accorse però che non si trattava di una mongolfiera, bensì di un enorme cranio di scimmia. Mezza versta dopo si corresse: era proprio una gigantografia della copertina di Led Zeppelin 1. A pochi furlong gli parve un cartello di divieto di transito per veicoli a braccia, poi una cuffia da doccia, poi una delle lune di Saturno, poi una Coppa del Nonno rovesciata, poi forse no, forse era davvero una mongolfiera. Solo quando la sua visuale fu sgombra da ogni impedimento, cioè quando la sua immaginazione fu sopraffatta dall'evidenza della percezione Bemolle si rese conto che si trattava di un colle illuminato dai raggi del sole alto nel cielo.

"Ma dove caspiterina era il sole mentre ero nel bosco?". Bemolle si volse a retro a rimirare la foresta ancora imbevuta d'oscurità notturna, guardò il colle in pieno sole, fece due rapidi calcoli mentali, trasse delle interessanti conclusioni sul diametro del pianeta e, perplesso, fece spallucce.