domenica 28 maggio 2006

Il risveglio

Quando Bemolle riaprì gli occhi, tutto ciò che vide fu dell'intenso, vellutato colore nero. "Oh great, sono finito di nuovo nel carburatore della Y10", pensò con insopportabile autocommiserazione. Immediatamente, però, si accorse che non c'era il solito odore di benzina senza piombo, né i suoi arti sembravano essere costretti in pochi centimetri cubici; anzi, a mano a mano che i suoi plessi nervosi periferici abbandonavano la letargia che li aveva colti quand'era caduto come corpo morto cade, Bemolle prese gradualmente coscienza del fatto di giacere prono, a quattro di bastoni, su una superficie umida, dura e che sapeva di mattonella.

Con grande fatica, ma anche con grande soddisfazione (perché ogni cosa che costa grande sforzo, sudore, lacrime e, talvolta, sangue, se portata a compimento con successo, o almeno evitando tragici fallimenti, fornisce enorme gratificazione a colui – o colei – che, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l'acqua perigliosa e guata; oggi, insomma, è proprio giorno di citazioni dantesche), Bemolle raccolse le sue esigue forze e assunse finalmente una postura più degna dell'attributo di "bipede" conferito da svariate enciclopedie, siti web e altri Greatest Hits dello scibile umano, al genere Homo Sapiens Sapiens. Compito a casa per il lettore diligente: analisi logica e analisi del periodo di questo paragrafo.

Insomma, Bemolle: non perdiamo di vista il nostro gaio protagonista, mentre controlla l'integrità delle principali articolazioni del suo apparato locomotore. Ma com'è che si è ritrovato faccia a terra, nel suo vicolo, a pochi passi dalla sua tenda? Bemolle non rammentava nulla del suo trapasso. L'ultimo ricordo che conservava era l'odore della sua flatulenza frammisto a quello di trielina, e poi si era ritrovato con gli incisivi nel porfido. Che gli stesse tornando quella dannata narcolessia isterica? Eppure credeva di essersene liberato per sempre, grazie a quella formidabile dieta del peperoncino che aveva trovato su Donna Moderna... una vera panacea. Ma, evidentemente, non era bastata. Rassegnato, estrasse l'ennesimo jalapeño dalla tasca, lo addentò con determinazione e, masticando e lacrimando, si diresse verso la sua tenda, deciso a trascorrere almeno qualche ora sì privo di sensi, ma non a diretto contatto con il marciapiede.

Fu solo mentre apriva la lampo che si accorse dello scubidù per terra.

Questa gibella è stata pubblicata anche su La mandria pazza (cos'è?).

giovedì 25 maggio 2006

Ma allora qua parliamo e non ci capiamo?!?

Ma perché nessuno lascia commenti agli interessantissimi post che faccio sul mio blog, mentre nei blog altrui tre righe scombinate suscitano discussioni infinite sui fiocchi d'avena, sul positivismo storiografico, sull'origine del caso ablativo e quant'altro? Non è bello però. :-|

martedì 23 maggio 2006

A Nicla

Cara Nicla,

ecco la dedica che non ti sono riuscito a scrivere:

Stringi i pugni, guardati dentro, e facciamo insieme il resto della strada... più è lunga, più fa piacere avere compagnia!

E comunque io non ho messo lauree nel pedone del Trivial :-D

mercoledì 17 maggio 2006

Good times, bad times

È da un po' che non posto qualcosa... ma contrariamente alle voci che sono circolate, vi posso assicurare che sono ancora qui per voi. Smentisco ufficialmente che:

  1. sono rimasto vittima di un attacco di dissenteria fulminante;
  2. ho ricevuto l'incarico di Presidente del Consiglio;
  3. sono rimasto coinvolto nello scandalo Juve.
È solo successo che sto alquanto incasinato con la tesi che sto scrivendo e non ho più molto tempo per dedicarmi al blog. Qui a Napule, poi, se non sono a casa a scrivere sono in giro con qualcuno a perdere tempo... proprio come ieri sera.

Ieri sera si era tre amici al pub, tutti ferventi amanti della caro rock anni '70... la musica seria, insomma :-) Vi sottopongo un paio di estratti delle nostre conversazioni: cosa si dice quando la birra comincia a salire in testa; perdonate la scadente trascrizione delle parti in napoletano... si fa quel che si può.

Io - Palumbo, ma tu che ne pensi di questo filo conduttore: Dante, Beethoven, Ritchie Blackmore?
Palumbo - Ma non lo so... Dante è troppo gruosso!
Lucio - Cchiù gruosso 'e Maradona?!?
[...]
Io - Uà, guagliù, ma noi dovevamo nascere trent'anni prima!
Lucio - Sì, avere diciott'anni nel '68!
Palumbo - Pensate se ci conoscevamo nel '70.
Lucio - Saremmo morti di eroina nell'81.

mercoledì 10 maggio 2006

La chiamata / 2

— Cosa fai qui? — chiese Bemolle.
L'uomo annuì con condiscendenza, protese le labbra con l'aria di chi avrebbe troppe cose da raccontare ma non il tempo per farlo e infine indicò lo scubidù, seguito dallo sguardo di Bemolle.
— Uno scubidù qui? Davanti alla mia tenda? Ah, aspetta... mi pare di riconoscerti! Ci siamo incontrati alla manifestazione della settimana scorsa, no? Mi devi scusare ma non ricordo il tuo nome... com'era, com'era?

La voce dell'uomo aveva qualcosa di ancestrale.
— Io ho molti nomi. Sono qui perché anche tu possa finalmente averne uno.

Bemolle tremò, per la seconda volta nel corso della serata. Aveva la spiacevole sensazione che la voce dell'uomo non fosse un suono, ma che risuonasse direttamente nella sua mente, senza dover passare la tediosa trafila laringe -> vibrazione -> onda -> timpano -> orecchio interno -> cervello. Per quanto la cosa potesse sembrare comoda, Bemolle era un tradizionalista. La novità della cosa lo metteva visibilmente a disagio.
— Ma io ce l'ho già un nome... Mi chiamo Bemolle. — fece con voce tremante, protendendo perfino timidamente la destra verso lo sconosciuto — Immaginavo che non te ne ricordassi neanche tu, d'altra parte ci siamo a stento presentati...
— Caro il mio Bemoccolo, ti parlo di un nome che ti sopravviverà. Un nome antico come i deserti e mutevole come le nuvole, un nome che ti scorrerà addosso e ti impregnerà con la sua immanenza — e poi, dopo una pausa a effetto, aggiunse — Un nome da profeta.
— Un profeta... io?
— Tu sei stato scelto.
Bemolle cadde in ginocchio. Le lacrime sgorgavano copiose.
— Ma chi sei?... chi sei?
— Sono venuto per portarti via. Io sono il Kwisatz.

Questa gibella è stata pubblicata anche su La mandria pazza (cos'è?).

sabato 6 maggio 2006

La chiamata / 1

Dopo un'intera giornata passata a inseguire tovaglioli portati via dal vento, persino una mente congenitamente vessata e sottomessa come quella di Bemolle cominciava a mostrare i primi segni di cedimento, come attacchi fulminanti di nevralgia del trigemino, sporadici episodi di onicofagia acuta e un aumento misurabile della frequenza di scaccolamento. Come ogni giovedì sera, poi, si era fatto incastrare dai suoi vecchi amici del circolo di manomissione cancelli e aveva passato un paio di orette in compagnia di diverse paia di ascelle sudate, nascosto in un sottoscala ad aspettare che quei testardi operai della FAAC si rassegnassero all'apparente evidenza che la cellula fotoelettrica avesse trovato il modo di secernere spontaneamente frappè all'amarena. Ma nemmeno simili goliardie erano riuscite a distrarlo dalla vacuità del dì appena trascorso, neanche l'ottusità dei due muscolosi manovali, incapaci di accorgersi dell'inquietante verità gnoseologica a cui la secrezione zuccherina alludeva. Anzi, ciò che una volta lo avrebbe fatto sorridere ora gli procurava soltanto un fastidioso prurito.

Fu pertanto in questo umore spleen che Bemolle aprì la lampo della canadese quadriposto e si accomiatò dalla festosa compagnia che celebrava la felice riuscita dell'ennesimo atto di disobbedienza civile. I suoi piedi scalzi percepirono il freddo e l'umido del marciapiede, i capelli sulla nuca gli si rizzarono per lo sbalzo di temparatura e un brivido gli corse lungo la schiena, la gamba destra, il piede e di nuovo la gamba per poi attraversargli la vescica e arrestarsi in corrispondenza della sua maniglia dell'amore sinistra. I suoi occhi si stavano ormai abituando all'oscurità e poteva già distinguere la luce delle stelle e l'ombra netta proiettata dalla costellazione del Cucchiaio a Vapore, che lo avrebbe guidato senza fallo alla sicurtà del suo accogliente iglù da campeggio e al rassicurante ronzio del traliccio Ferdinando. In quanti dolci sonni si era lasciato cullare dal suo traliccio protettore! Bemolle sentiva davvero che era diventato impossibile farne a meno, che aveva ormai sviluppato una completa assuefazione alle sue frequenze acustiche. Peraltro, era in qualche modo sicuro che anche il traliccio provasse sentimenti simili verso di lui.

Bemolle giunse nei pressi della tenda quando ormai già si intravedevano le prime luci dell'alba. A circa dieci passi si fermò, fece una scorreggia, fischiettò le prime note di "Minor Swing" e subito si accorse che c'era qualcosa che non andava. Il vicolo era stranamente silenzioso, l'odore di trielina era più intenso e, tra l'altro, aveva dimenticato i pantaloni alla festa; ma, soprattutto, c'era un uomo calvo, di carnagione scura, che sedeva a gambe raccolte accanto alla tenda mentre intrecciava con nonchalance uno scubidù. Indossava semplicemente una maglietta e dei pantaloncini, i cui colori sarebbero ben descritti come l'equivalente cromatico di un gatto col mal di pancia che miagola mentre raspa freneticamente con le quattro zampe su una lavagna.

Bemolle fece tre passi avanti e l'uomo finalmente lo notò, volse lo sguardo su di lui e con maestosa lentezza si erse in tutta la sua modesta statura.

Questa gibella è stata pubblicata anche su La mandria pazza (cos'è?).

giovedì 4 maggio 2006

www.cazzeggio.it

È ovvio che se uno perde una quantità sufficiente di tempo a cazzeggiare sul web, prima o poi incappa in qualcosa di interessante. Oggi vi fornisco un paio di link di profonda inutilità (d'altra parte vi ho promesso amenità, quisquiglie e pinzillacchere) ma oziosamente interessanti.

Prima di tutto guardate questa foto:


Il tizio si chiama Julian Beever e dipinge i marciapiedi con i gessetti... un po' come fanno i madonnari nostrani. La figata è che i suoi disegni, visti da una certa prospettiva, appaiono tridimensionali. Sulla sua homepage ci sono diverse foto di sue opere... ho scelto questa perché mi ha ricordato le litografie di Escher, come anche questo autoritratto.

Gli altri link che condivido con voi saranno molto utili a quegli emigranti che, come me, ci tengono sempre a specificare ai barbari di turno (che pensano all'Italia come ad un posto dove tutti suonano il mandolino e si vestono da Pulcinella) che siamo prima napoletani e poi italiani, che la pizza non è italiana ma NAPOLETANA, e così via. Ecco a voi un sito con un sacco di materiale su Napule (foto, ricette, modi di dire, etimologia di alcune parole in dialetto... il tutto in italiano, però) e addirittura un corso di napoletano per americani! Ora potrete spiegare a tutto il mondo la differenza tra 'o cafè e 'o ccafè...

martedì 2 maggio 2006

Cena sociale

Primo maggio, festa del lavoro. Gli italiani di Svezia, in collaborazione con gli svedesi d'Italia, organizzano una gigantesca cena per celebrare:

  1. il lavoro;
  2. la festa del lavoro;
  3. il diritto allo sciopero;
  4. l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma soprattutto:
  5. la lasagna fatta a mano di Francesco.
Ci si incontra a ora di pranzo dal buon Kåre, il quale mette irresponsabilmente a disposizione la casa per il festino. Gli animi sono ovviamente eccitati, come si capisce subito dai giuochi innocenti a cui i ragazzotti si dedicano. Ecco Francesco che invita l'ignaro Kåre a partecipare.



Purtroppo al buon Kåre il giuoco non è piaciuto troppo. Nascono disquisizioni dotte sulla preparazione di lasagna, béchamel, sugo alla bolognese (il sugo bollonneise è sbagliato... citazione per i più colti)...


Pare che tanta discussione dia i suoi frutti, perché alla fine la lasagna esce SPETTACOLARE. La migliore lasagna della mia vita. Nel frattempo l'ilare sguattero Leonardo si dedica alla preparazione della sua rinomata zuppa inglese.



La gente comincia ad arrivare, ed anche se c'è peluria di mezzi (forchette, coltelli, piatti, sedie, tavolini...) e magna copia di esofagi, in un modo o nell'altro tutti riescono a mangiare in maniera più o meno civile; per di più, un miracolo della ridistribuzione delle risorse (leggi: puro culo) fa sì che tutti si sazino ma che non avanzi quasi niente. Foto di gruppo fatta durante il secondo:



E il vostro ometto preferito, dov'è? Eccolo qui. Non si smentisce mai.



Fauci spalancate e puparuolo 'mbuttunato in bocca. Alla prossima...

Cortège 2006

Alcuni di voi ne avranno probabilmente sentito parlare... il 30 aprile di ogni anno, in Svezia è festa grande. Ma grande GRANDE. Secondo i giornali, nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio un giovane su tre si è ubriacato pesantemente. E cosa si celebra di tanto importante? Beh, si celebra l'arrivo della primavera... e fate poco gli spiritosi sul fatto che la primavera in Svezia arriva il primo maggio perché qua si va ancora in bici con i guanti :-)

Contestualmente alla grande festa, gli studenti di Chalmers (l'università dove studio io) organizzano una lepida parata: il Cortège, con carri, banda, majorette, ricchi premi e cotillons. Ecco a voi alcune delle foto più significative della parata, che quest'anno (per inciso) si è svolta sotto un'allegra pioggia battente, per la gioia degli spettatori (tipo me) nonché dei poveri personaggini che sono stati costretti a fare le stesse scenette sui carri per tre ore di fila.



L'ometto a sinistra lo conoscete... quello a destra è Francesco, studente Erasmus pugliese in trasferta scandinava. Notare i cappucci causa pioggia di cui sopra.



È chiaro che vi fornisco solo gli highlights; la mega-stone del curling mi sembrava appropriata. Vi segnalo due particolari notevoli: i tizi sulla destra con le mega scope, e la scarpa da ginnastica che si intravede sotto il veicolo infernale :-D



Questa era veramente carina. Il sudoku per gli studenti di lettere :-D

Beh, questo è tutto. A presto per un nuovo post fotografico sulla maxi-cena che abbiamo organizzato oggi (lunedì) pomeriggio...