lunedì 2 novembre 2009

La cacca calpestata

Il signor Palomar ha pestato una cacca di cane. È in una strada della sua città ed è piuttosto irritato, non perché non gli sia già capitata la stessa cosa, ma soprattutto perché proprio quel mattino ha indossato le scarpe di tela con la suola di gomma tutta fitta di scanalature a spina di pesce. Benché il signor Palomar solitamente non indulga in comportamenti violenti e si consideri un tipo tollerante e rispettoso degli animali (non lo si potrebbe definire un amante degli animali: per amare gli animali è necessaria prima una certa misura di odio per gli uomini, e il signor Palomar non se la sentirebbe davvero di condannarli tutti senza averli prima conosciuti ed ascoltato le loro ragioni), in questo momento si guarda dintorno rabbioso come se cercasse il responsabile del suo incidente per consumare una vendetta immediata. Al signor Palomar viene in mente che questi maledetti cagnacci scagazzatori astenosfinterici andrebbero esiliati tutti su un'isola deserta a un centinaio di miglia dalla terraferma dove sianerebbero liberi di divorarsi a vicenda e di seppellirsi nei propri escrementi senza attentare alla pulizia delle suole dei cittadini.

Lo scatto di rabbia tuttavia non dura più di qualche attimo e il signor Palomar ritrova la calma. Non può certo incolpare un animale di aver espletato una delle sue funzioni organiche. Certo, il cane insozza la proprietà pubblica; ma come si potrebbe rimproverarglielo, se non gli si riconosce prima il diritto di partecipare alla sua gestione? Il signor Palomar intuisce che la cosa "pubblica" proprio pubblica non è. Molti dei numerosi abitanti della città sono esclusi dalla sua gestione e dunque esentati dal rispetto dovutole: cani, gatti, piccioni, ratti e insetti vari, per cominciare. Giuridicamente equiparabili ai bambini, i cani non rispondono dei propri atti davanti al consorzio civile: dovrebbero essere i loro padroni a farlo per loro. Il signor Palomar davvero non sopporta le persone incivili. Maledetti imbrattatori dell'arredo urbano, pensa con rinnovato furore, incapaci di sorvegliare la copropoiesi dei propri animali da compagnia o, peggio, avallatori negligenti di comportamenti antisociali. Hai permesso al cane di fare la cacca per strada? Hai ritenuto superfluo insegnargli dove può fare cacca e dove no? Oh, bisognerebbe esiliarli tutti su uno scoglio disabitato con i loro cani. Ti faccio vedere allora come farebbero attenzione a non tappezzarne di feci l'intera superficie.

Proprio quando il signor Palomar è all'apice della sua collera, d'improvviso rimane folgorato da un pensiero. Se i cani sono socialmente equiparabili ai bambini — perché la persona responsabile della loro educazione risponde anche giuridicamente della loro condotta —, lo stesso vale per i padroni dei cani stessi, i quali, tempo fa, sono stati bambini. Il signor Palomar non può condannare la loro inciviltà senza accusare i loro genitori, veri responsabili della loro mala creanza. Ma i genitori a loro volta potranno fare appello allo stesso cavillo e scaricare la colpa sui nonni... il signor Palomar si lascia aspirare vertiginosamente dalle migliaia di generazioni della storia dell'umanità fino al signor Adamo Y-cromosomale, fino alla signora Eva Mitocondriale e fino al loro peccato originale.

Il signor Palomar è un po' infastidito dalla sua conclusione — la dimostrazione dell'esistenza di un peccato originale — e subito si industria per confutare la sua teoria. Il suo ragionamento deve contenere una fallacia; ecco, dev'essere semplicemente falso che genitori maleducati generano sistematicamente figli altrettanto maleducati. Ma certo! Palomar si batte la fronte per essersi lasciato tentare dal determinismo. Anche se i miei geni plasmano la mia materia, se l'ambiente in cui vivo modifica il mio fenotipo e se le mie nevrosi tramano contro la mia autodeterminazione, io resto libero di comportarmi diversamente da mia madre e mio padre. Il signor Palomar sorride all'idea di essere stato costretto a introdurre il libero arbitrio non già per spiegare l'esistenza del peccato originale, ma anzi per dimostrare che si tratta di una historically unnecessary hypothesis.

Ma ahimè, il suo sorriso dura ben poco. Se Adamo ed Eva erano liberi, così erano i loro figli, così i loro nipoti — il signor Palomar ridiscende a precipizio le quattromila generazioni che li separano dal padrone del cane e non può più impedirsi di riconoscergli la libertà di scegliere se lasciare la cacca sul marciapiede o chinarsi a raccoglierla. Ma se quell'uomo godeva di libero arbitrio, forse che il suo cane era da meno? Il signor P. cammina trasognato, assorbito dalla riscoperta della dialettica tra libertà e responsabilità, e non si accorge della nuova cacca che sta per calpestare con l'altro piede.

sabato 25 luglio 2009

Fugerit invida aestas

Arles, ventisei giugno

Caro Teo,

Il portalettere mi ha lasciato stamane la tua ultima affettuosa missiva. Che buon uomo, monsieur Roulin; sarà passato sul presto come sua abitudine, mi avrà visto lungo disteso sul canapè del portico e avrà indovinato dalla regolare profondità dei miei respiri che navigavo ancora nel primo sonno. Immagino (e quasi lo vedo!) il suo barbone bonario e il sorriso dei suoi favoriti sempre in ordine, il fruscio delicato delle carte deposte sul tavolino di vimini e il velocipede di servizio che si allontana crepitando sullo sterrato.

Caro Teo, la coperta rossa che mi hai inviato mi racconta quanto sei preoccupato per la mia condizione. So che disapprovi la mia condotta insalubre e queste nottate all'addiaccio, ma lo zefiro provenzale è dolce e profumato e la mia cagionevole salute non corre seri rischi; la novella estate mi schiude le palpebre quando il sole è già alto e mi rivela la campagna che freme come un unico alveare, il profumo della lavanda e il riverbero abbacinante del cielo di Provenza sulle mura gialle della casa.

Ti ringrazio di cuore di tutte le pene che ti dai per me. Ero già al corrente del concorso all'accademia di polizia (me ne aveva parlato Arturo), ma non so se parteciperò. Teo, sto morendo. L'ho scoperto sei mesi fa. Me l'ha confermato anche il dottor Gachet, anche se cercava di sdrammatizzare e di convincermi che in fondo potrei essere messo peggio. Ma so per certo che mi restano meno di ottant'anni di vita.

Vedi, Teo, quando ero fanciullo non percepivo i limiti della mia esistenza. Avevo troppo poco passato per immaginare che il futuro esistesse, e il presente si dilatava fino a diventare un unico infinito pomeriggio. Ma esistono due tempi, amato fratello. Uno, chiamiamolo "tempo reale", è il tempo dei pendoli, del moto dei pianeti, della cottura del pane, dei fenomeni fisici, oggettivi, osservabili e riproducibili; l'altro, chiamiamolo "tempo apparente", misura la durata percepita da un essere senziente. La durata apparente di un certo fenomeno dipende naturalmente dallo stato psicofisico in cui il soggetto si trova durante il fenomeno; ma al di là di queste fluttuazioni locali possiamo immaginare un'evoluzione globale della percezione temporale con l'età dell'individuo (ovvero con il tempo reale). Sia t il tempo reale e τ il tempo apparente; a un dato istante t della mia vita, poniamo che la durata apparente di un fenomeno campione sia λ(t) volte la sua durata reale:

dτ = λ(t) dt

Nel mio caso, credo che l'andamento di λ(t) sia pressappoco il seguente:

Ora supponi per semplicità che, per un certo intervallo di t (ad esempio t > 30 anni), λ(t) sia semplicemente inversamente proporzionale a t:

λ(t) ∝ t-1

Ne segue che

τ = ∫λ(t)dt ∼ ln t

e dunque

t ∼ eτ

Ecco la misura oggettiva della fugacità del tempo. Ecco il regolo della caducità del mio essere frale. Credevo che il mio tempo apparente τ scorresse lineare, sempre uguale a sé stesso, e che in fondo rappresentasse una buona approssimazione del tempo reale t. Ma mentre la tartaruga τ muove un passo, Achille t ne fa tre; e mentre la tartaruga ne avanza un altro, Achille ne ha allungati altri sei. Forse la morte è soltanto questo, l'infinito rallentamento della percezione. Forse λ(t) raggiunge lo zero in un tempo finito; il mio cronometro apparente si blocca mentre il mondo intorno continua a ticchettare. Forse sono immortale ed è solo l'accelerazione apparente della mia percezione che mi illude di morire. Lo stesso metronomo della mia vita,

λ(t)-1 ∝ t

accelera minaccioso secondo la percezione che ne ho:

λ(τ)-1 ∝ eτ

Ecco perché veglio ogni notte e freneticamente respingo la stanchezza. Non ho letto Proust. Non conosco il greco antico. Non so come si fabbrica la carta. Non conosco la storia del mio Paese. Non conosco il nome della capitale dello Yemen. Non parlo portoghese. Non so come si vesta la gente del Botswana. Non so cucinare la bagnacauda. Non so suonare uno strumento musicale. Non ho mai ascoltato Brahms. Non so da dove viene la massa del protone. Non so leggere l'alfabeto cirillico. E quante sono le cose che non so nemmeno di ignorare? Non ho tempo. Sfilo un altro libro vergine dalla pila alla mia sinistra. Prima che riuscirò a immaginare il domani, questo meriggio fu già passato in fretta.

Il tuo affezionato fratello,                     

Vincenzo Tenebra                            

venerdì 26 giugno 2009

Tunz-tunz — tra storia e leggenda

Sarà colpa dei risultati elettorali, ma negli ultimi giorni c'è un pensiero che mi ossessiona. No, non ho intenzione di dichiararmi rifugiato politico (anche se effettivamente non sarebbe una cattiva idea), ma di una domanda antica quanto l'umanità stessa, forse persino quanto Rita Levi Montalcini: cosa vuole davvero la gente?

Numerosi scinziati hanno sconsideratamente consacrato le proprie carriere allo studio di questa spinosa questione. Il primo approccio, ancorché germinale e limitato, si trova già nei lavori sperimentali dell'équipe di Lennon e McCartney, pionieri del campo, tra cui ricordiamo I Want to Hold Your Hand (1963), I Want to Tell You (1966) e I Want You (She's So Heavy) (1969). Fu tuttavia necessario attendere gli anni Ottanta prima che si tentasse di costruire un modello teorico autoconsistente (Lauper, Girls Just Want to Have Fun, 1983). Guidati dalle lungimiranti previsioni di Lauper, gli esperimenti di Mercury et al. (I Want It All, 1989) misero in luce inattese sistematiche e permisero a tre membri della rinomata scuola di Göteborg — Ekberg, Berggren e Berggren — di applicare il metodo di Lauper all'ensemble dei desideri femminili (All That She Wants, 1992). L'estensione della teoria lauperiana alla descrizione dell'intera fenomenologia umana è piuttosto recente ed è opera di ricercatori italiani (Belisari et al., La gente vuole il gol, 2000). Quanto saranno affidabili queste teorie? Molto poco, se ci si ferma un attimo a riflettere. La verità, anzi la Verità, ma cosa dico, la VeriTà è scandalosamente evidente da secoli, e solo io me ne sono accorto.

La gente vuole il tunz-tunz.

Il tunz-tunz, genere musicale antichissimo, fu inventato una sera in cui un antico egizio particolarmente annoiato si accorse che bastava battere alacremente sul sacro tamburo di Anubi per rincoglionire completamente il circondario. Alternando sistematicamente un colpo al tamburo (tun) e una scossa al sacro sistro di Iside (z), il musico inanellò una machiavellica e ipnotica combinazione che riduceva istantaneamente di una ventina di punti il QI degli astanti e li costringeva a sollevare le mani, saltare scompostamente sul posto e agitare oscenamente la pelvi, anche se si trattava di personcine affatto rispettabili come scribi, sacerdotesse o faraoni.

I militari compresero immediatamente che il tunz-tunz racchiudeva un enorme potenziale di controllo sulle masse scalmanate ("il tunz-tunz è l'oppio dei popoli", osservò argutamente Marx secoli dopo). Da allora, chi ha trascurato di versare il proprio tributo sull'altare del tunz-tunz ne ha pagato le conseguenze, talvolta a caro prezzo. Bach si vide ignorare tutte le sue composizioni giovanili finché non produsse un paio di videoclip ritmati con ballerine discinte. Napoleone III intuì che se la gente faceva le quattro in discoteca, non si sarebbe alzata per fare la rivoluzione il giorno dopo, e fece costruire un'enorme boîte de nuit nel nono arrondissement (oggi nota come Opéra Garnier). Giulio Cesare mandava le falangi in battaglia con l'iPod a palla.

Celebre, infine, è l'episodio di Maria Antonietta:

— Maestà, il popolo non ha più tunz-tunz! Il popolo vuole ballare!
— Che ascoltino Bartók.

E sappiamo tutti che fine ha fatto.

A seguire: tecnica e struttura del tunz-tunz.

domenica 5 aprile 2009

Tutto inVaneau

A quell'ora Alésia si era già messa all'Opéra. La gente non veniva certo nel quartiere per prendere una boccata di Bel-Air, fare un Picpus o quattro Passy; si era in Rue de la Pompe, in pieno quartiere a Laumière rosse, dove La Sorbonne (così era nota tra i clienti più affezionati) roteava la sua Bourse con innegabile perizia e metteva in mostra la sua seducente Gambetta.

— Ourcq!, esclamò un Simplon di passaggio che aveva notato Lecourbe di Alésia.
— Ciao, bel maschione, Bienvenüe, fece Alésia con la sua voce Argentine.
— Ehm.
— Ho una Bonne Nouvelle per te. Hai vinto un Ternes al lotto. Lo so che stai come una Iéna, lo vedo che ce l'hai già Duroc... e io sono una distributrice di Plaisance impazzita.

Rivoli di sudore scendevano lungo la fronte del Simplon.

— Oh, Madeleine, fu tutto ciò che riuscì a dire.
— Dai, bello, non essere freddo come un Glacière... ci prendiamo una stanzetta all'Hôtel de Ville con letto Dupleix, una Boissière per rilassarci, ti regalo una Bastille azzurra e ti faccio partire come il Concorde.
— Veramente io...
— Non sarai un Pasteur calvinista? Non essere così Sèvres...
— Bercy Goncourt per l'offerta, signorina, sono Ségur che lei sarebbe una compagna Exelmans, Bérault...
— Ho capito, sei un Vavin!
— Ma no, ma no!
— E allora sei un Créteil! Scompari dalla mia vista prima che ti faccio rotolare Père tutta Lachaise!

mercoledì 25 marzo 2009

Mijn vriend Karel van der Bruin

(Si consiglia di lanciare il video a lato a guisa di colonna sonora della gibella. Abbiate pazienza, per gli effetti speciali ci stiamo ancora attrezzando.)

Brasile.

Il solo nome già evoca visioni di spiagge assolate, noci di cocco, partite di calcio acrobatico, bikini minimalisti, Cacao Meravigliao e saudade. (Chissà com'è la visione della saudade. Fosse nostalgia di Napule, non avrei difficoltà a immaginere un tipo vestito da Pulcinella che piange, suona il mandolino e il tamburello e balla la tarantella ué ué affacciato a una finestra e sbocconcellando una sfogliatella accompagnata da una tazzulella di caffè; ma l'immagine di un brasiliano vestito di piume di struzzo che piange, suona il canillo1 e balla il samba tunz-tu-tunz tun-tun-tu-tunz sulla spiaggia di Copacabana sorseggiando una capirinha e rimpinzandosi di biscoito Globo, quest'immagine mi risulta un tantino meno credibile. Sarà una questione di abitudine.)

Ecco, io in Brasiu (mi si passi la grafia fonetica) ci sono stato, e posso garantire che è tutto vero. (A parte il Cacao Meravigliao. Che poi sarebbe Meraviglião. Che poi sarebbe Meraviglione. E se cacao fosse cacão, allora sarebbe cacone, e allora hai voglia di mettere ballerine scosciatissime. Chiaro?

No. Allora continuate a leggere.)

Ecco, io volevo parlare del Brasiu, della saudadgi e della bossa nova, e invece mi avete incastrato a spiegare come imparare il brasiliano in dieci giorni; tant pis.

La regola è la seguente: per parlare brasiliano bisogna (a) imparare quei quattro-cinque verbi che sono diversi, (b) parlare in napoletano (c) con un accento barese. La dimostrazione ha avuto luogo in una casa de sucos, un posto dove (udite udite) si vendono succhi di frutta.

(Trascrizione fonetica.)

Io:Um suco dgi còco (con le O aperte), por favor.
Bibi:(non capisce e lo fa presente)
Io:(scandisce) Um... suco... dgi... còco.
Bibi:(illuminazione) Ahh! Cócu! (pronuncia barèse stretta)

Il brasiliano è tutto così. Se arrivi stasera alle dieci, domani alle due sai ordinare da mangiare, dopodomani impari a contrattare con i bancarellisti e dopo dieci giorni chiacchieri amabilmente con il tassista che ti accompagna all'aeroporto (dicendo — mio testuale commento sul traffico dell'ora di punta — "Eh... a gente va à casa"). Ma qual è il trucco?

Il trucco, come quando si impara una qualunque lingua straniera, consiste nel costruire una tabella mentale di corrispondenze più o meno regolari con le altre lingue che si conoscono. Tali corrispondenze possono essere semplici traduzioni (formaggio ↔ queijo) oppure schemi di applicazione sufficientemente regolare da giustificarne l'introduzione. Esempio: se la parola italiana finisce per -zione, stai sicuro che la parola brasiliana finirà per -ção. Se quella italiana finisce per -ino, spesso quella brasiliana finisce per -inho; e se quella italiana finisce per -one, quella brasiliana finirà per -ão. (Quindi Falcão in realtà si chiamava Falcone. E no, Alemão non si chiamava Alemone; si chiamava Tedesco.) La cosa funziona talmente spesso tra italiano e brasiliano che qualcuno dovrebbe scriverci un programmino per tradurre automaticamente e maccheronicamente i testi dall'italiano al brasiliano.

Ma guarda un po' la coincidenza, questo programmino l'ha già scritto qualcuno (io). L'ho chiamato aristoteles, più in onore del centravanti che del filosofo. È scritto in Perl3, è rilasciato sotto licenza GPL4 e può essere scaricato liberamente da qui.

aristoteles è semplice da usare: gli si dà un file di testo in italiano e lui risputa tutto tradotto in brasiliano. Il va sans dire che io non lo userei per tradurci la mia tesi di laurea; in questo senso, aristoteles non è un traduttore: è più un simulatore del mio cervello.

Ma vediamolo all'opera:

A A Abbronzatissima
sotto i raggi del sole
come è bello sognare
abbracciato con te.
A A Abbronzatissima
a due passi dal mare
come è dolce sentirti
respirare con me.
Sulle labbra tue dolcissime
un profumo di salsedine
sentirò per tutto il tempo
di questa estate d'amor.
Quando il viso tuo nerissimo
tornerà di nuovo pallido
questi giorni in riva al mar
non potrò dimenticar.
A A Abronzatissima
debaixo os ragi do sol
como é belo sonhar
abraciado com ti.
A A Abronzatissima
a dois passi do mar
como é dolce sentirti
respirar com mim.
Sobre as labra tue dolcissime
um profumo de salsedinhas
sentirò para todo o tempo
de esta estate d'amor.
Quando o viso tuo nerissimo
tornerà de noo palido
questi giorni em riva ao mar
não potrò dimenticar.

Da Rimini a Ipanema in 0.484 secondi.

Ah, un'ultima cosa. Vi è piaciuta la colonna sonora? Un mito, Disco Samba, eh? Bella la musica brasiliana, eh? Eh, come suonano i brasiliani...

Peccato. I Two Man Sound, signore e signori, sono belgi. Wikipedia docet. (Ma grazie Luca per la segnalazione.) E con questo ho rovinato la serata alla metà di voi.


1 Canillo è il nome con il quale ho sempre designato il putipù brasiliano2. Produce il suono di un cagnolino che guaisce (donde la denominazione). ^

2 Ho appena scoperto che in brasiliano il canillo si chiama cuica. ^

3 Perl è un linguaggio particolarmente adatto a fare di queste cazzate. Chi usa Linux probabilmente sa cos'è, ma non avrà bisogno di installarlo perché con tutta probabilità ce l'ha già. Tutto ciò è triste: chi ha le conoscenze per installarlo, non ne ha bisogno; chi usa Windoze probabilmente crede che Perl sia una marca di dentifricio. ^

4 No, la bombola non c'entra. ^

lunedì 23 marzo 2009

Del punto interrogativo e di altre grandi invenzioni senza le quali la nostra vita sarebbe molto peggiore

Clap clap clap clap.

— Grazie, grazie, buonasera a tutti e benvenuti a questa nuova puntata di Sì sì, già già, il programma che vi porta alla scoperta delle più grandi invenzioni della storia dell'umanità. Nella puntata di oggi parleremo del... punto interrogativo!

Clap clap clap clap. Sul maxischermo compare:

— Per parlarci del punto interrogativo e della sua storia abbiamo invitato il professor Gerardo Mzhmh. Un bell'applauso!

Clap clap clap.

— Professore, lei è titolare...
— ...sì, della cattedra di Interpunzione e Analisi Grammaticale dell'università di Casavatore.
— E come mai il suo cognome è privo di vocali?
— È un nome d'arte.
— Non sapevo che i linguisti avessero nomi d'arte.
— Non sapevo che i presentatori televisivi si interessassero di linguistica.
— Ehm. Professore, molti dei nostri spettatori saranno sorpresi dell'argomento di questa puntata. Può spiegarci perché il punto interrogativo è una delle più grandi invenzioni della storia dell'umanità?
­— Ma certo. Vede, Martegazzi, senza punto interrogativo lei non avrebbe potuto chiedermi educatamente di raccontare la storia del punto interrogativo. Sarebbe stato costretto a darmi un ordine, e io non avrei apprezzato la sua scostumatezza.
— Ma lei è qui proprio per parlare del punto interrogativo!
— È una questione di forma, e moderi i suoi punti esclamativi. Gli antichi Greci erano già pienamente consapevoli della serietà del problema. Senza punti interrogativi era impossibile elevare la società al di sopra della condizione selvaggia di prepotenza e sopraffazione del più forte sul più debole. La questione fu affrontata da Omero, il quale introdusse coraggiosamente un segno di interpunzione per indicare le frasi interrogative.
— Cioè, naturalmente, il punto interrogativo!
— Naturalmente un paio di testicoli, Martegazzi, e le ri-ingiungo di imbrigliare le sue unnecessary exclamations.
— Ehm.
— Omero introdusse il punto e virgola.

Sul maxischermo compare:

— Naturalmente, la gente si accorse subito che qualcosa non andava. Si immagini: Omero dal salumiere. I clienti si rivolgono al salumiere dicendo tre etti di feta, mezzo chilo di olive, una cocchia di pane. Entra Omero. Tutti si girano a guardarlo. Omero, invece, non guarda nessuno.
— ...
— Non abusi dei suoi sospensivi, Martegazzi. Omero si avvicina al bancone e fa salumiere, puoi darmi due etti di salame; e resta lì a bocca aperta, come se avesse lasciato la frase a metà; e infatti era proprio così.
— E il salumiere non capì.
— No, non poteva. Erodoto racconta che da quel giorno il salumiere rifiutò di fare credito a Omero.
— E il vero punto interrogativo?
­— Per quello bisogna aspettare circa duemila anni.
— Come mai tutto questo tempo?
— Perché fu necessario convincere la gente a rinunciare a far girare gcc sui questionari del militare. Era diventata una comodità. Ma un giorno un amanuense sgarrò con la mano e fece uno scippo a forma di scartellato.
— Professore, si ricordi che il pubblico a casa non conosce il gergo tecnico.
— Sostituì il punto e virgola omerico con il punto interrogativo che noi tutti conosciamo.
— Bene, grazie professore. E ora faremo un esperimento, io e il professore daremo una dimostrazione di un dialogo senza punti interrogativi. È pronto professore?
— Sono pronto. Lei è pronto.
— Ehm, sì sono pronto. Cominciamo.
— Abbiamo già cominciato.
— Era una domanda.
— Quale domanda.
— Quando lei ha detto "abbiamo già cominciato", era una domanda.
— Non era una domanda.
— Questa era una domanda.
— Sì, esatto.
— No, la mia non era una domanda.
— Ah. Come vedete, cari telespettatori, comprendersi è quasi impossibile. Professore, le va di interrompere la nostra dimostrazione.
— Non mi dica cosa mi va, Martegazzi, chi si crede di essere.
— Era una domanda, professore.
— Sì, era una domanda.
— No, la mia era una domanda.
— Non lo so, se non lo sa lei.
— Bene, cari telespettatori, la puntata odierna di Sì sì, già già si chiude qui. Appuntamento alla settimana prossima, stessa ora, stesso canale, per scoprire la storia e le molteplici applicazioni del cingolo! Grazie a tutti e buona serata.
— Posso salutare una persona a casa.

venerdì 13 febbraio 2009

Elogio della bestemmia

L'Homo Sapiens Sapiens si distingue dal resto del bestiario terricolo perché è l'unico essere vivente che è riuscito a sviluppare un linguaggio. Il motivo per cui gli scimpanzé non hanno mai scoperto la ruota, il fuoco, il ballottaggio e Retequattro1 è che la corretta accentazione dei monosillabi giace ben al di là delle loro capacità (e anche di quelle di molti esemplari di H. Sapiens Sapiens). Lo sviluppo di un linguaggio complesso e articolato è sicuramente un requisito fondamentale per la nascita del pensiero razionale e della società, ma anche — pensa un po' — della religione. (Questo spiega, tra l'altro, perché i delfini non vanno a messa.)

Lo stretto legame tra linguaggio e religione è stato troppo spesso frainteso. Non è vero, come si crede, che la religione usa il linguaggio allo scopo di diffondersi; per questo basta una clava sufficientemente pesante, come secoli di crociate e guerre sante hanno dimostrato. Il legame risiede invece nell'uso che il linguaggio fa della religione. E la risposta naturale del linguaggio (il logos, il ragionamento, la razionalità) alla religione è ovviamente la bestemmia.

L'Homo Sapiens Sapiens, pertanto, può essere definito come l'unica specie che bestemmia. È anche l'unica specie che ne ha motivo, probabilmente. La nascita della bestemmia è sicuramente contemporanea alla nascita del sentimento religioso.

Uomo delle caverne 1:Mi chiedevo...
Uomo delle caverne 2:Hm.
UC1:Hai notato quel coso luminoso in cielo oggi?
UC2:Mhm.
UC1:Mi dicevo che secondo me è un coso sovrannaturale.
UC2:Mmm.
UC1:Tipo che oltre ad andare in giro tutti i giorni, secondo me ha anche creato l'Universo.
UC2:...
UC1:E ha delle grandissime aspettative morali su di noi.
UC2:Hmmmm.
UC1:E si incazza se ti tocchi.
UC2:...
UC1:Penso che lo chiamerò Dio.
UC2:Ma porcoddìo, sto cercando di dormire!
UC1:AAAH! ERESIA! SACRILEGIO! INQUISIZIONE, A ME! (appicca un falò)

Dal dì che nozze, tribunali ed are sono stati inventati, la bestemmia ha dunque incarnato la reazione naturale dell'uomo razionale di fronte al mistero della superstizione, ops, volevo dire della religione. Da Nerone a Federico II, da Lucrezio a Enrico IV, da Galileo a Nietzsche, personaggi storici di ogni epoca e pensatori di ogni scuola si sono concessi il sollazzo catartico della bestemmia. (Secondo me soprattutto Nietzsche.) Inoltre, l'efficacia della bestemmia aumenta con il numero delle sue declinazioni. Perché il mondo intero non venera Sai Baba? Perché a forza di dire mannaccia Sai Baba ci si annoia presto. Pensateci. Nelle religioni pagane, invece, gli dei erano tanti e dunque offrivano innumerevoli possibilità di bestemmiaggio (mannaccia Zeus, porco Poseidone, vacca Afrodite, ecc.). Le sahasranāma sono liste di mille e più nomi delle divinità induiste (per variare sull'altrimenti monotono Shiva puttana). Allah ha cento nomi (mannaccia Al-Ghafūr, per esempio). Il dio degli ebrei viene chiamato con nomi diversi a seconda dell'aspetto della sua divinità che si vuole mettere in risalto (ma nessuna bestemmia è più efficace di YHWH cane). Il dio dei cristiani non ha un nome (siamo seri, "Dio" è un nome da dio2 tanto quanto "Cane" è un nome da cane), ma in compenso ci sono decine di migliaia di santi e madonne per agiografare a dovere la propria frustrazione (per non parlare di raffinatezze al passo con l'attualità come Cristo pedofilo). Per la gioia di tutti, ecco l'indirizzo di un sito (http://www.santiebeati.it/) che contiene i nomi di migliaia di santi, beati, venerabili e non ho capito bene cos'altro. La cosa mi ha talmente esaltato che ho scritto un piccolo script bash3 che si connette al sito, sceglie un santo a caso e lo bestemmia diligentemente. Esempio:

davide@macco:bestemmiatore$ ./bestemmiatore
Mannaccia Santi Michele, Gabriele e Raffaele!
davide@macco:bestemmiatore$ ./bestemmiatore
Mannaccia San Massimino di Micy!
davide@macco:bestemmiatore$ ./bestemmiatore
Mannaccia San Vulstano di Worcester!

Un giorno di questi aggiungo l'opzione per bestemmiare la Madonna e il Padreterno.

Postilla. Caro lettore pio e devoto, se questa gibella ha urtato la tua sensibilità, sono contento; vuol dire che ho raggiunto il mio scopo. Spero che questo ti faccia riflettere su quanto la sensibilità degli atei e dei laici come me debba essere urtata ogni giorno dalle ingerenze della Chiesa cattolica nelle faccende dello Stato italiano. Non sono uno che bestemmia, ma gli accadimenti recenti me ne hanno dato una voglia irrefrenabile.

Postilla alla postilla. Secondo la legislazione vigente dello Stato italiano, la bestemmia è considerata un illecito amministrativo punibile con una sanzione da euro 51 a euro 309. Secondo il diritto canonico, chi si dichiara ateo (come ho appena fatto io) è classificato come apostata e pertanto incorre automaticamente nella scomunica latae sententiae. Questa gibella finirà per costarmi 309 euro più un'eternità sotto una pioggia di fuoco.


1 La regia vi ricorda che Retequattro è fuorilegge da almeno una decina d'anni. ^

2 Non è che "Allah" sia tanto meglio, eh. ^

3 Ecco il sorgente dello script. ^

#!/bin/bash

low=$RANDOM
high=$RANDOM
epoch=$(bc <<EOF
$low+32768*$high
EOF)

query=$( date -d @$epoch +%m/%d )
url='http://www.santiebeati.it/'$query

tmpfile=$(mktemp)
wget -q -O - $url | iconv -f latin1 -t utf-8 | sed -n -e 's!.*href="/\(dettaglio/[0-9]*\).*!\1!gp' > $tmpfile

lines=$(wc -l $tmpfile | cut -f 1 -d ' ')
if [ x$lines == x0 ]; then
    echo FAIL
    exit 1
fi

line=$(( $RANDOM % $lines + 1 ))
url='http://www.santiebeati.it/'$( sed -n $line'{p;q;}' $tmpfile )

rm $tmpfile

santo=$( wget -q -O - $url | iconv -f latin1 -t utf-8 | grep -i title | sed -n -e 's!.*<title>\(.*\)</title>!\1!ig' -e 's!.$!!gp' | sed -e "s!' !'!g" )

echo Mannaccia $santo! 

mercoledì 28 gennaio 2009

Preso in castagna

Eleganti piramidi di mele renette, maestose sventagliate di carciofi, cespuglietti odorosi di prezzemolo e aneto, parate di lucide melanzane, bouquet di champignon, batterie di pere, cascate di spinaci, cataste di carote, e poi pomodori passati a specchio, patate ben lavate, mandarini, peperoni, zucche, zucchine, ravanelli, rape, finocchi, lattuga e qualche avocado; gli affreschi ortofrutticoli delle bancarelle dei mercati parigini si contendono avidamente l'interesse dell'ozioso passeggiatore. Monsieur Bueren, in particolare, andava particolarmente fiero della sua opera. Ogni fine settimana si chiudeva in camera e progettava maestose cattedrali di banane, rotonde di verdure da zuppa, mosaici di agrumi o altri capolavori di architettura da bancarella; Pomme-tzamparc, lo chiamavano amabilmente i suoi colleghi.

Per quel lunedì Monsieur Bueren aveva preparato una riproduzione de "La Vergine delle rocce", il suo quadro preferito dai tempi in cui la mamma lo portava al Louvre nelle domeniche d'estate per approfittare della frescura degli antichi marmi. Il suo furgoncino era parcheggiato poco distante; il vero inverno non era ancora cominciato ma, nella brina di quella levata antelucana, Monsieur Bueren considerò quest'evidenza astronomica come una trascurabile capziosità, ripensò nostalgico alla canicola museale della sua infanzia e si strinse infreddolito nel paltò.

Nondimeno, egli sapeva che era la stagione ideale per rendere i colori d'autunno del quadro di Leonardo con la tinta screziata delle castagne; pregustando compiaciuto la meraviglia dei colleghi e lo sbalordimento dei clienti, il fruttivendolo mise in moto con qualche difficoltà il furgoncino addormentato, scivolò nel traffico diluito del primissimo mattino e diresse il veicolo alla volta dei mercati generali.

Al furgoncino piaceva molto fare il carico di cocomeri (d'estate) e di castagne (d'inverno); impaziente come un bambino la notte di Natale, aveva vissuto tutta l'attesa in uno stato di irrequietezza: ora ribaltava un sedile, ora batticchiava nervosamente il parasole, ora si mordeva i dischi dei freni. Si addormentò spossato più tardi del solito e non si accorse del figuro che si introdusse clandestinamente nel vano merci. Il mattino dopo, parcheggiato sulla corsia d'emergenza di un boulevard périphérique ancora deserto, il furgoncino realizzò con disappunto che il carico di castagne era rimandato a data imprecisata quando vide l'intruso uccidere a sangue freddo Monsieur Bueren alla luce lampeggiante delle quattro frecce.

Questa gibella è stata pubblicata anche su La mandria pazza (cos'è?).

domenica 25 gennaio 2009

I love this game

Ricordo distintamente che a sedici-diciassette anni ero una macchina da rimbalzi. A quei tempi avevo un fisico asciutto, ero aitante e nerboruto e correvo la maratona in 3:01:55 (ore:minuti:secondi). Occhei, in attacco sono sempre stato una pippa, ma almeno a quei tempi sovrastavo la maggior parte dei miei avversari sotto canestro grazie ai centimetri (dieci più della media), grazie a un eccellente taglia-fuori, ma soprattutto grazie alla tempesta ormonale dell'adolescenza, alla quale ho sempre negato (mio malgrado) sfoghi più consoni di un pallone, un canestro e tante gomitate.

Ecco una foto tratta dal mio album di famiglia, scattata l'anno in cui rifiutai la convocazione all'All-Star game perché avevo l'esame di maturità.

(Sì, ho notato anch'io che la freccia è vagamente falloidale.)

Oggi, all'età di venticinq *ahem* ventotto anni, ho una panzella da ragioniere, ho quasi tutte le dita storte, mi è calata la vista, mi si sono appannati i riflessi e corro (correrei) la maratona in 3:01:55 (giorni:ore:minuti); in più, i giovinastri di oggi sono alti quanto me (ma cosa mangiano questi maledetti?), hanno imparato il taglia-fuori e, soprattutto, sono nel pieno della loro tempesta ormonale, mentre la mia è bella che andata da un pezzo (per fortuna).

Il problema principale, tuttavia, è che con il riequilibrio del sistema endocrino e la diminuzione di testosterone mi è venuta meno l'aggressività. Siamo d'accordo che è un gioco, l'importante è partecipare, basta che ci divertiamo bla bla bla, però siamo anche d'accordo che presentarsi al campetto con la borsa da palestra in spalla e Il secondo sesso in tasca non è proprio classificabile come un atteggiamento intimidatorio. Faccio sempre molta attenzione a nascondere il libro ma mi sa che gli altri si sono accorti comunque che qualcosa non va.

Ecco una lista di pensieri (veri) che mi sono trovato a fare durante l'ultima partita.

  • Uh, meno male che non ho intercettato quel passaggio. Avrei potuto farmi male.
  • Cazzo, ho sbagliato un tiro da 30 cm. Vabbè, però conosco la geometria differenziale1.
  • Cazzo, ho passato la palla a uno dell'altra squadra e i miei compagni mi vogliono trucidare. Vabbè, faccio finta di zoppicare.
  • BAM. Che stoppata che mi ha fatto questo tizio... vorrei sprofondare ma non gli posso dare questa soddisfazione. Vabbè, faccio la parte del tipo superiore che sa che una stoppata è parte del gioco.
  • Cazzo, quel rimbalzo dovevo afferrarlo a due mani e invece l'ho mandato fuori. Vabbè, metto in bella mostra il cerotto sul mignolo e do ad intendere che la sinistra è infortunata.

Ma perché continuo a giocare, allora? Beh, ho un sogno. Vorrei provare, anche per una sola volta, l'ebbrezza di schiacciare il pallone nel canestro. (Dall'alto.) Il basket per me è un po' come l'Universo per i cattolici: bisogna sopportarlo perché forse, un giorno lontano, ne sarà valsa la pena. La differenza è che loro, se pure avessero ragione, non lo potranno raccontare a nessuno; io mi farò sbattere in prima pagina col titolo Giovane squilibrato ripescato nudo dalla Mosa.


1 In realtà la storia ha già dimostrato che è perfettamente possibile conciliare virilità e studi superiori^

martedì 13 gennaio 2009

Sex and the Uluru

Sono recentemente entrato in possesso di un oggetto fantastico. Questo:

Cosa sarà? Qualche indizio:

  • non è lo spremiagrumi di Philippe Starck;
  • si usa muovendolo avanti e indietro su una parte del corpo umano;
  • procura godimento;
  • si può usare da soli, ma dà più piacere se è un'altra persona a manovrarlo;
  • appena lo si comincia ad usare dà un po' fastidio, ma ci si abitua in fretta;
  • in alcuni Paesi è noto come Orgasmatron.

Potrei andare avanti, ma ormai avrete capito tutti che si tratta di uno strumento per massaggiare la testa. La confezione illustra il principio di funzionamento di questo geniale gingillo.

The "Head Massager" is a very effective therapeutical instrument. It helps to reduce stress, and it stimulates and activates the positive energies inherent in our body — an experience you should feel and enjoy intensively.

Ora, sarò anche un esimio scinziato ma questa storia delle "energie positive" non l'ho mai capita. Cosa sono? Dove sono immagazzinate? C'è un ATP per le energie positive? Perché il corpo non le usa da solo? Posso alimentarci lo scaldabagno? Posso sollevarci un peso attaccato a una carrucola? (Anche se la carrucola è contenuta in un pollo di gomma?) Ma soprattutto, perché io, uomo del terzo millennio munito di Wikipedia, non ho mai capito che cazzo sono queste energie positive, mentre il più fesso degli aborigeni australiani sa perfettamente come liberarle?

Early versions of this traditional massaging-instrument have their origin [ma non mi dire] in the culture of the Australian aborigines [ecco], who used similar instruments to activate the hidden powers and energies of a head massage.

Vale a dire che non basta un massaggio normale. Grazie all'Orgasmatron (termine di origine aborigeno-australiana), gli aborigeni rilasciano i POTERI NASCOSTI del massaggio craniale. La scocciatura era che dopo ci vuole sempre uno che si mettesse con santa pazienza a raddrizzare tutti i cucchiaini.

Thanks to its material and its carefully thought out construction, the "Head Massager" works like a conductor absorbing the electrical fields of our body. It stimulates gently and helps to experience an intensive relaxation.

Se è il trucco è il conduttore, mi sono detto, va bene anche un termosifone. Numerose craniate nella ghisa hanno dimostrato che mi sbagliavo.

At the same time it massages the skin and stimulates hair growth.

La vera ragione per cui lo uso.

When using the "Head Massager" you will get goose pimples as a first reaction, a typical sign for an alert, activated and attentive mind.

Ebbene è così, possiedo una mente all'erta, attiva e attenta. Anche tutti gli amici che hanno provato l'Orgasmatron. Chissà gli aborigeni.

mercoledì 7 gennaio 2009

Quanto è difficile trovare un titolo diverso ogni volta per la stessa gibella

È passato un ano da un ano fa ed è di nuovo l'ora dei buoni propositi. Addì 28 dicembre 2007 mi promettevo di:

  • leggere "L'uomo senza qualità", "L'idiota", "I demoni" e qualche altro polpettoncino analogo;

Due su tre (un buon risultato).

  • trovarsi un lavoro divertente;

Sto diventando un esperto di punti materiali, cosa potrei desiderare di meglio?

  • imparare a parlottare in ceco;

Ecco, qui fallimento completo. Ne so esattamente quanto un ano fa, anzi meno perché ho anche dimenticato quel fantastico scioglilingua del dito il gola, tutto senza vocali...

  • scrivere di più;

Cinquantatré gibelle nel 2008 contro quarantasette nel 2007. Si fa quel che si può.

  • dimostrare la congettura di Riemann.

Mmm, sì. Ci sono quasi.

Ed ecco i succosissimi propositi per l'ano nuovo:

  • preparare il lavoro che mi varrà il premio Ig Nobel;
  • fare il tagliando alla mia visione del mondo;
  • capire da dove viene la massa del protone;
  • fare cose, vedere gente;
  • dare la spallata finale all'economia in crisi.