mercoledì 27 febbraio 2008

La seconda storia di Arturo Ambiguo e del Tenente Tenebra

Il luminoso pomeriggio d'aprile era ormai terminato quando il tenente Tenebra si risvegliò, seduto nello scompartimento del treno a vapore che sbuffando e ansimando, quasi cavallo al trotto, avanzava lungo i polverosi binari attraverso il deserto del New Mexico. Devo essermi assopito, pensò il tenente Tenebra mentre si rizzava a sedere e si riavviava il riporto arruffato, quasi macroscopico emblema della stanchezza e del lordume accumulati nel corso del lungo viaggio; mentre apriva il finestrino per prendere una boccata d'aria si accorse (e non senza sollievo) che il convoglio era ormai in vista della ridente cittadina di La Union. Raccattò i suoi effetti personali e sia avviò verso l'uscita; mentre scendeva si guardava intorno, e l'aria indaffarata dei cowboy e dei maniscalchi che affollavano la stazione gli ricordò, per contrappasso, la quiete del funerale della moglie di Arturo Ambiguo al quale aveva assistito ormai mesi addietro ma che continuava a tormentarlo senza requie a qualunque ora della notte e del giorno... o, forse, era soltanto il ricordo di quella donna e dello straordinario amplesso postumo che avevano consumato insieme. Requiescat in pacem in saecula saeculorum, si disse, mentre grazie alla consueta vista da nibbio già incedeva grave verso il saloon che aveva scorto dall'altro lato della piazza.

Com'è ovvio e naturale che succeda, l'arrivo di uno straniero non passa mai inosservato in un posto come il saloon di La Union, e così accadde anche alla faina in divisa; la sua fama lo aveva anzi preceduto, le sue qualità di investigatore gli avevano procurato una notevole celebrità anche oltreoceano e fu per questo che appena le porte del saloon si aprirono e la severa silhouette del tenente Tenebra si profilò contro il sole che tramontava sulle mesas del deserto subito gli astanti si alzarono dai tavoli che occupavano e attorniarono l'attonito detective.
— Capo, n'accendino, capo?
— Dateme 'a valigia, capo, date cca, nun ve preoccupate!
— Oh, lassate nu poco 'e spazio ô tenente, facitelo respirà!
— 'O cappiello, capo, pusate 'o cappiello!
— Taralli, taralli 'nzogna e pepe! Taralli!...
... e in men che non si dica il tenente Tenebra fu fatto sceriffo di La Union, e mentre lo issavano in trionfo finalmente il coyote col distintivo (com'era stato immediatamente ribattezzato) trovò la forza di urlare "Ad interim! Sono sceriffo soltanto ad interim!".

Allo sceriffo Tenebra, fresco di nomina, bastò pochissimo tempo per dare prova della sua sagacia. Il giorno dopo il suo arrivo egli passeggiava pensieroso, la mente sempre rivolta a chi sappiamo noi, quando ad un tratto fu ridestato a viva forza dalla sua trance dalle urla di terrore di un capannello di gente; Tenebra si fece largo a spintoni tra la folla... e all'improvviso, lì, al centro del gruppo, vide Arturo Ambiguo in ginocchio, con i capelli spettinati, gli occhi rossi ed un'espressione sconvolta dipinta sul viso. Eh, sì, come il lettore ricorderà erano i tempi in cui Arturo Ambiguo si dedicava allo spaccio e al traffico di calumet della pace tra i visi pallidi.

Il tenente Tenebra si congelò, quasi come se avesse visto un fantasma, e tutto ciò che riuscì a dire fu "Lupus in fabula!". Arturo Ambiguo lo vide e senza dire né a né ba si gettò ai suoi piedi in lacrime esclamando:
— Tenente Tenebra! Oh, tenente, che bello rivederla in questo momento così tragico!
— Sursum corda, mio buon Arturo! Cos'è successo, come mai sei così sconvolto?
— Eh, tene', indovinate...
Il tenente Tenebra ebbe un tuffo al cuore.
— No!
— Sì.
— Hic et nunc?
— Eh?
— Qui, adesso?
— Sissignore.
— N'ata vota?
— Sì, tene'... n'ata vota.
— Ja', Artù, stai pazzianno!
— No, tene', 'ncoppa all'anema 'e mammà.
— E me lo dici sic et simpliciter?
— E come ve lo dovevo dire, vi dovevo cantare una canzone?

L'atteggiamento strafottente di Arturo Ambiguo immediatamente insospettì il tenente Tenebra, il quale concluse la conversazione aggiungendo:
— Artù, queste sono cose da trattare cum grano salis. Ma comunque... de hoc satis. Rebus sic stantibus, il caso è mio, cos'altro dire.

E Arturo Ambiguo si rasserenò al suono delle ultime parole, pur non avendo capito una ceppa del resto della frase.

Quando si trovò di fronte al cadavere, il tenente, forse troppo intriso di reminiscenze classiche (come il lettore avrà ormai certamente capito da solo), non poté fare a meno di coprirsi gli occhi esclamando "Horribile visu!". Il cadavere della donna giaceva perfettamente composto e sembrava che dormisse ma, si sa, a volte fa più paura ciò che non vorremmo vedere piuttosto che ciò che vediamo o vedremmo se volessimo vedere davvero ciò che vediamo.

Riavutosi dallo shock, il tenente Tenebra procedette minuziosamente all'analisi delle prove. Il corpo della donna era ancora bellissimo e non recava nessun segno di lesione.

– Ah, si disse Tenebra, se solo potessi ripristinare lo status quo... vivere con questa donna è la condicio sine qua non per la mia felicità!
Per quanto esaminasse il corpo della vittima e si guardasse intorno, non riusciva a trovare alcun indizio significativo, quando fu interrotto da Arturo Ambiguo che recava seco un vassoio con una caffettiera ed alcune tazze.
— Un caffè, tene'?
— Timeo Danaos et dona ferentes, rispose il tenente.
Arturo Ambiguo non aveva capito una ceppa come al solito, ma il concetto era passato ugualmente e quindi si ritirò con mestizia. Fu in quel momento che il tenente Tenebra notò un particolare che fino ad allora gli era sfuggito: sulla schiena di Arturo Ambiguo era attaccato un cartello con su scritto "Fesso chi legge".
— Fermo dove sei!, urlò il tenente. — Sei in arresto per l'omicidio di tua moglie!

Cosa ha fatto insospettire il tenente Tenebra?


La risposta è tra le interlocuzioni.

Ben 2 brillanti interlocuzioni a proposito:

Arek' Fu ha brillantemente interloquito così:

Il cartello attaccato sulle spalle di Arturo aveva siglato, senza che questi se ne accorgesse, la sua condanna a morte. Dall'assenza di tracce sul cadavere e dalla sua immensa conoscenza di tossicologia il tenente Tenebra capì che la moglie di Arturo era stata avvelenata con un'overdose dei dozzinali stupefacenti con i quali trafficava Arturo Ambiguo. La conferma gli è stata finalmente data dal cartello sulla schiena di Arturo, sul quale il tenente riconobbe la calligrafia della moglie. Ella era una donna di grande ironia, e forse nel momento stesso in cui suo marito la uccideva per l'ennesima volta ella segretamente rideva di lui e persino della propria morte e si beffava del marito con quel cartello... il suo unico testamento.

pinciuz ha brillantemente interloquito così:

Noooo!!! Io avevo capito tutt'altra cosa!
Nel dialetto di La Union "fesso chi legge" ha lo stesso suono di "fess ok ilèggie", che significa, come si sa, "non sono colpevole". E' chiaro che Arturo si era autoapplicato tale cartello per sviare i sospetti, e questo nonostante il famoso divieto, vigente a La Union, di girare con cartelli scritti attaccati sulla schiena. L'escamotage non salva però L'Arturo, perché il "bracco della legge" (come chiamiamo il tenente Tenebra dalle mie parti) capisce subito che solo il vero colpevole avrebbe potuto rischiare una multa pur di non essere messo in mezzo nelle indagini. E il caso è risolto.