lunedì 13 ottobre 2008

L'uomo con il baccalà

Uno che decide di spararsi un romanzo pisicologico di duemila pagine, per giunta incompiuto, tedesco e modernista, ha poi il diritto di lamentarsi di essersi fatto una uallera tanta? Nell'intimità della mia coscienza so benissimo che è colpa mia, ma d'altra parte non avevo scelta; avrei forse dovuto lasciare il libro a metà, quando già una volta lo avevo abbandonato a pagina novantasette? Thou shalt alwayes complete thy readings. È una questione di deontologia. La speranza segreta è che se io non lascio nessuna lettura a metà, anche chi legge questo pluzio farà altrettanto. (Povero me.)

Faccio un breve riassunto dell'avvincente trama del romanzo. Un tizio abita a Vienna (pagina 300). Gli muore il padre (pagina 700). Torna a casa del padre e, dopo anni di separazione, rivede la sorella (pagina 750, questa parte è ricca d'azione). Si innamora della sorella (pagina 850). La sorella va a vivere da lui, ma invece di trombare — cosa che avrebbe creato numerosi spunti tragici, magari un po' triti, ma sempre piccantelli — i due si fanno mille pagine di pippe mentali sul tema "ma questo sentimento che proviamo l'uno per l'altro, vuoi vedere che è amore nel senso che è amore universale come quello che bisognerebbe provare per qualunque altro essere umano (anche se non ci è ben chiaro perché si dovrebbe amare qualcuno che non si conosce)?" (pagina 1800).

Va detto che il romanzo è incompiuto perché il tizio è morto prima di riuscire a completarlo; io però che capisco e conosco so anche che è stata la pallosità stessa della sua prosa a ucciderlo. Ci stavo per rimanere io, figuriamoci lui. (Notare che l'Autore ha il nome di un taglio di baccalà. Il baccalà, si sa, non è rinomato per la sua conversazione brillante.)

Musil:Madonna, che due palle questo capitolo che ho scritto. Fammelo rileggere un attimo.

(Rilegge.)

Musil:Agh.

(Muore.)

Ed ecco il passo più esaltante di questo fantastico polpettone.

[Fratello e sorella guardano il mare.] Quell'immensa distesa era... un po' noiosa. La responsabilità per il minimo gesto — dovettero confessarlo — era alquanto vuota [?], se paragonata alla giocondità delle ore in cui non si imponevano simili esigenze [ma quali?], e i corpi giocavano con l'anima come bei giovani animali con una palla di legno che fanno rotolare qua e là [?].

Un giorno [attenzione che questa è veramente potente] Anders disse: — È vasto e pastorale; fa pensare a un pastore d'anime! [?] — Risero [???]. Poi si spaventarono dello scherno rivolto contro se stessi [!!!].

Mi sarei tanto voluto vedere dall'esterno mentre leggevo, seduto in autobus, circondato dai miei amici punti interrogativi.

venerdì 3 ottobre 2008

Paremiologia

Breve analisi critica di quattro pietre angolari del nostro vivere quotidiano.


Chi dorme non piglia pesci: falso.

Il momento migliore per prendere i pesci è in realtà proprio poco prima di addormentarsi, quando si è molto stanchi e la palpebra pesante tramonta spontaneamente. Certo, la sonnolenza da sola non basta; i pesci però non lo sanno e si lasciano spesso turbare dalla sonnolenza perché la scambiano per una turbolenza, una di quelle acquatiche, a loro tanto familiari. Per andare sul sicuro, comunque, alla sonnolenza vanno attaccati tre piccoli vermetti (una tresca) o un ragazzotto dai capelli ricci, bello 'e faccia e bello 'e core (...).


L'abito non fa il monaco: vero.

Caso mai è il monaco che fa l'abito. Sono numerosi gli ordini monastici che si sono dedicati alla produzione tessile; ad esempio, gli sparatrappisti.


Dio vede e provvede: vero.

Dio, per intenderci, sarebbe quel tizio con la barba. È noto anche per essere il creatore dell'Universo, nonché come il padre di suo figlio (Dio crea e procrea). È capace di sanare ogni malattia e non ci fa mai mancare niente (Dio cura e procura). Si dà tanto da fare per salvarci, tanto che ha fatto tutto l'Universo solo per noi (Dio duce e produce). A volte è un po' esigente ma non manca mai di fare i suoi ingressi trionfali (Dio rompe e prorompe). Non è mai soddisfatto dei suoi piani (Dio getta e progetta). Presiede allo svolgersi naturale del ciclo dell'acqua e concede l'indulgenza ai peccatori (Dio scioglie e proscioglie). Nel miglior stile Easy Rider, sgasa al semaforo sulla sua Harley-Davidson (Dio pelle e propelle). Anche se non ha mai fatto una cosa, ci si mette senza esitazione (Dio va e prova).

Il giorno del Giudizio, però, si comporterà con grande severità e persino con un po' di cattiveria (...).


Non c'è due senza tre: falso.

Guarda qua: 2222222222222222222 22222222 22222 2222222222222222 222222 2222 22222222 2222222 22222 222 22 2222222 2 22222 22222 22 2 222222222 222222 2 2222222222222222222 22 22 2222222222 22 2222222 2222222 222 2 22222222222 22222222 22 2 22222 2222222 22222222 222 2 2 2 22 2 2 2222222 22222 2. Tutti senza 3.

...

Oui, je suis Catherine Deneuve

Come questo pluzio dimostra chiaramente, non sono affatto il tipo che parla a vanvera, anzi. Se dico qualcosa è perché sono ben informato dei fatti; d'altronde è da quando sono diventato scinziato che mi hanno fatto il lavaggio del cervello e ora sono convinto che la conoscenza si basa sul risultato dell'esperimento, basta che non lo facciano fare a me. Insomma, ora ho finalmente raccolto abbastanza prove e finalmente, senza paura di smentite o confutazioni, posso serenamente affermare che

il francese è una lingua per checche isteriche.

Intendiamoci, non è che io abbia qualcosa contro le checche isteriche (un personaggio divertentissimo di tanti telefilm ammericani); è più che ho qualcosa contro i francesi. L'illuminazione mi è venuta qualche giorno fa, a Pavigi, quando ho visto la pubblicità del prossimo torneo di Bercy: un cartellone pubblicitario sei metri per tre con un Rafael Nadal dal bicipite ipertrofico che prende ferocemente a pallate un avversario non precisato, ma senz'altro degno della nostra compassione.

E che ci hanno scritto i Francesi?

Rattrape-la si tu peux?! (Se non sapete come si pronuncia, basta leggerlo in italiano con la voce della checca isterica di Will & Grace.) Dunque è questo che Nadal urla al suo avversario secondo i francesini; per riscontro, in napoletano in situazioni simili si dice tipicamente MAGNATI CHESTA!, AMMOCCATI STA CRESOMMOLA! o PARA PURTIE'!. Poi mi sono ricordato che la parola tennis viene dal francese tenez !, tenga!, che a quanto pare era ciò che si diceva all'avversario per avvertirlo che si era in procinto di riprendere il gioco (cfr. napoletano PALLAAAAAA!).

Insomma, qui ho cominciato a immaginarmi i francesini che giocano a tennis; poi sono andato su Tutubo e ho visto ciò che avevo immaginato.

Notare che il primo tipo è belga (parlerà francese), e il secondo tipo ha fatto un anno e mezzo di Grenoble. Coincidenze? Io dico di no.

In realtà è evidente che la colpa è della lingua. Se non fosse per quel ridicolo trattino, per la mancata ellissi del soggetto, per il suono della u e per la posizione in cui ti restano le labbra se dici peux, quella frase forse sarebbe quasi adatta a Giochi senza Frontiere1; così com'è, è roba da boy-scout.

Ma la portata del problema è ben più vasta. Prendiamo una parola francese a caso: chiffon. Cosa significherà? Si tratta senza dubbio di una stoffa pregiata, ma sarà seta? Lino? Cotone? Raso? L'amara verità è che chiffon vuol dire panno, pezza, cencio, strofinaccio, canovaccio o mappina, ma visto che ha questo suono così da checca isterica gli italiani credono che sia un velo sottile e trasparente. Torchon? Una collana attorcigliata, o forse uno straccio per pulire per terra2?

Ma soprattutto, eau de toilette: un profumo seducente, o forse forse l'acqua del cesso?


1 E in che lingua parlava l'arbitro di Giochi senza Frontiere? In francese.
2 Almeno in Belgio. In Francia significa anche lui strofinaccio.