martedì 29 aprile 2008

Il viaggyø

Ultimi giorni di Scandinavia, bisogna approfittarne. Si sale su un roboante pulmino, ci si fanno quattro ore di curve su un'autostrada dalla progettazione chiaramente ispirata alla Salerno-Reggio Calabria per giungere infine in quel di Oslo, un tranquillo paesino che conta poco più di cinquecentomila abitanti. Per fortuna il viaggio passa in fretta grazie ai fantastici gingilli disponibili a bordo del pulmino. Ad esempio, questo grazioso oggettino

permette di SPARARE FULMINI a piacimento, come illustrato chiaramente dall'etichetta sottostante.

Curiosità: gli svedesi chiamano Oslo "uslu". Gli autoctoni la chiamano "ushlu". Per un integralista dell'ortografia come me, una gita a Uslu produce pressappoco la stessa sensazione di una nottata insonne in preda alle zanzare. Ogni cartello è perfettamente intelligibile ma inevitabilmente sgrammaticato. Un tormento continuo. È un po' come se, invece di scrivere in italiano corretto, imprøvisämenntee cømincyasi å skriverre in qveste mannyera øbshena.

Sarà da questo che Caterina ha improvvisamente preso ispirazione.

Caterina: ...perché la Apple ha fatto questo nuovo Mac sottilissimo e leggerissimo.
Davide: Ah sì?
Caterina: Si chiama Ultra Slim, o qualcosa del genere.
Davide: E com'è fatto?
Caterina: Pare che sia comodissimo, perché l'idea alla base è che non devi rinunciare per forza a una pastiera normale...
Davide: ...e al casatiello USB.

La segnaletica, però, è impeccabile.

Tra l'altro la città è piena di statue. Alcune sono inquietanti, ma interessanti.

Le altre mi sono piaciute di meno. Ecco la mia pallina rimbalzina che manifesta il suo dissenso verso una cosiddetta scultura di Richard Serra.

Siamo anche andati a visitare il nuovo teatro dell'opera!

Bello proprio. Una gran figata, sembra un iceberg appollaiato al centro del porto. Tutto marmo di Carrara, eh. Linee pulite, Scandinavian style. Bello proprio. Bello. Sì. Eh sì. Se le meritava proprio, le foto che abbiamo fatto. Ehm. Tutte e novantaquattro.

La noia genera intenzioni pericolose.

Ma per fortuna c'è sempre come intrattenersi.

Reception: Receptyøn, comme pøso åiuttarla?
Davide: Buongiorno, chiamo dalla stanza trecentotredici.
Reception: Sì, my dicca, sinyøre.
Davide: Guardi, io avrei finito.
Reception: Ma brävvo, sinyore! Tuta nell vasinø?
Davide: Sì, sì, tutta tutta!
Reception: Älora sälgo subhyto, sinyøre.
Davide: Faccia pure con comodo.

sabato 26 aprile 2008

Nottetempo

Il migliore dei biscotti possibili.

giovedì 24 aprile 2008

Speculare

Se non approfittassi mai dell'idolatria delle innumerabili folle che seguono fedelmente il mio pluzio, diciamolo pure, sarei davvero fesso. Oggi quindi faccio eccezione alla mia regola di onestà intellettuale e faccio un po' di bieca pubblicità a mio fratello Daniele.

È uscito infatti "Speculare", la sua prima raccolta di poesie! E di cosa si tratta? Preferisco lasciare che siano direttamente le sue parole a raccontarvelo.


Ebbene sì! Dopo un lungo e intenso percorso di maturazione personale, ci sono riuscito!

È con immensa soddisfazione e gioia che comunico a tutti coloro che riceveranno tale messaggio che è appena stata pubblicata (Aprile 2008) con l'Editore Montedit la mia prima raccolta di poesie. Il libro è il punto di partenza e al tempo stesso il traguardo di un profondo processo di conoscenza interiore, nel quale il verso poetico è diventato giorno per giorno una delle mie forme espressive più efficaci ed amate. In "Speculare" troverete la parte più giovane e "tenera" della mia intera produzione poetica che nel tempo è andata evolvendosi sempre di più. Fino ad oggi, il mio bisogno di esprimermi in versi, parole e immagini non ha mai arrestato il suo cammino e continua ad "abbracciarmi" in ogni momento importante della vita. Le poesie di "Speculare" non sono inscrivibili in un preciso genere letterario; ciò che le contraddistingue è certamente una decisa impronta psicologica e psicoanalitica, oltre ad un "sapore forte", provocatorio ed anticonformista. Il libro è stato inoltre corredato di alcune foto che ritraggono dipinti realizzati da me con varie "tecniche". Con il presente messaggio invito calorosamente tutti voi ad acquistare il libro, nella speranza e nell'augurio che possa lasciarvi nell'animo momenti di grande emozione e riflessione. Per coloro che non hanno mai avuto modo di tuffarsi nella fantastica dimensione della poesia, "Speculare" potrebbe rappresentare un'ottima opportunità per fare il primo passo e chissà... magari scoprire per caso una nuova passione. Il prezzo del libro è davvero irrisorio e accessibile a tutti: 7,30 Euro. Spero davvero che sarete numerosi ad acquistarlo; per contratto editoriale, le mie tasche non si riempiono di nulla mentre il mio cuore ...tutt'altro! Non ho mai pensato di pubblicare il libro per "specularci" :-) economicamente, ma per "aprire una porta" sul mondo esterno, nella speranza che voi tutti non la vogliate richiudere. Una spesa così piccola da parte vostra potrebbe rappresentare una grande opportunità di arricchimento interiore, sia per me che per voi. Sapere di "aver raggiunto" con le mie emozioni molti di voi è la mia autentica aspirazione e il significato archetipico di questa mia prima raccolta di poesie. Ringrazio di cuore tutti voi per aver prestato attenzione al presente messaggio. Un saluto e un abbraccio a coloro che mi conoscono e a coloro che mi conosceranno attraverso le liriche.

"Speculare" può essere acquistato:

  • Presso qualsiasi libreria d'Italia (generalmente su ordinazione);
  • Direttamente dal catalogo online 2008 della Casa Editrice all'indirizzo http://club.it/montedit/catalogo/cat.2008.html (le spese di spedizione sono gratuite. Pagherete il libro al solo prezzo di copertina: 7,30 Euro);
  • Presso IBS (Internet bookshop), la più grande libreria virtuale, oppure presso www.dvd.it;
  • Siccome per contratto ho acquistato un certo numero di copie, gli interessati all'acquisto che "sanno dove trovarmi" :-) possono rivolgersi direttamente a me.

Visitate la mia home page sul sito del "Club degli Autori" dove troverete la prefazione, l'introduzione e un assaggio delle prime pagine del libro. L'indirizzo è: http://www.club.it/autori/libri/daniele.mancusi/indice-i.html.

Chiedo gentilmente a tutti coloro che ricevono questo messaggio di inoltrarlo via mail e per passaparola ad amici, conoscenti, parenti ecc. che, almeno in linea di massima, potrebbero essere interessati all'acquisto del libro. In tal modo, mi fornirete un grandissimo aiuto nella diffusione dell'Opera. Se nel futuro avrò l'opportunità di realizzare una presentazione del libro, vi terrò informati.

Un sincero ringraziamento a tutti per la collaborazione!

D.M.

domenica 20 aprile 2008

Il segreto del successo di Discovery Channel

Qualche settimana fa per poco non finivo sotto un tram. Ma non è questa la cosa più importante. Avevo appena accompagnato degli amichetti a prendere un treno e mi dirigevo a passi pensosi verso la fermata quando la mia attenzione è stata catturata da una congrega di piccioni pulciosi e puzzoni. (Li odio un po'.) Erano lì, svariate decine in gruppo nel mezzo alla piazza, e si dedicavano al loro passatempo preferito: essere insopportabili.

Siffatte visioni non sogliono essere sufficientemente ammaliatrici per aggiudicarsi incontrastabilmente la considerazione degli astanti. Scusate, metto via il thesaurus. Dicevo, spettacoli del genere di solito non catturano la mia attenzione; quella volta, però, ho notato un inusuale agitazione tra i volatili a margine dello stormo (si chiamerà così anche quando non è in volo?). Una femmina (come ho fatto a capirlo? Continuate a leggere) si allontanava dal gruppo, chiaramente stizzita dalle insistenti attenzioni riservatele da un bell'esemplare maschio. (Almeno credo che fosse un bell'esemplare. Non me ne intendo troppo di piccioni.) La dialettica dei due pennuti mi ha affascinato e mi ha rapito al punto che ancora oggi sono in grado di narrare la dinamica dell'intero rendez-vous.

Lui: Rrrrù. Rrrrù.
Lei lo ignora.
Lui (gonfia le piume): Rrrrù. Guardami. Sono bello.
Lei lo ignora e gira i tacchi.
Lui: Rrrrùùù. (gira in tondo da solo)
Lei si allontana.
Lui: Rrrrù. (si accorge di essere solo) Rrrrù. (insegue la pollastra)
Lei fa sempre finta di niente.
Lui la becca sul sedere.
Lei (svolazzando): Ehi!
Lui: Rrrrù. Guardami. Guardami. Sono bello. Sono bellissimo. (ricomincia a girare su se stesso da solo)
Lei attraversa con nonchalance le rotaie del tram.
Lui si accorge di nuovo di essere rimasto solo e le va dietro.

Sopraggiunge un tram.

Lei (alzandosi in volo): Uff. Speriamo che questo tizio si leva da cuollo.
Lui la segue. Volontà d'acciaio.
Lei si posa con grazia su una sottilissima trave della struttura di un ponte.
Lui (si posa accanto a lei e rimane un attimo interdetto): Uhm. Ho perso il filo. Che stavo facendo? Sono sicuro che era qualcosa di importante... (la vede) Ah! Già. Rrrrù. (le si avvicina)
Lei (allontanandosi): Uff.
Lui (cerca di girare sul posto da solo): Mannacc... Rrrrù. Cazz... Rrrrù.

Due colombe si posano alle spalle di Lei, che continua a indietreggiare.

Lui (incatastandola nelle colombe): Rrrrù.
Lei: Ma che palle! (vola via)
Lui rimane spaesato, forse ferito dal rifiuto, forse distrutto dal fallimento.

Un attimo dopo si lancia in picchiata all'inseguimento.

Morale: ecco il motivo per cui non vado mai in discoteca.

giovedì 17 aprile 2008

How to ameliorate your gibella

E io che pensavo che quello che scrivevo fosse divertente. (Un poco.) Ma qualunque cosa io possa scrivere è niente a confronto di quello che può creare Gugol con i suoi potentissimi strumenti per le lingue!

Ecco la dimostrazione.

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura (?)

Ma perché continuo a leggere Repubblica? Me lo domando puntualmente quando leggo gli editoriali di Ezio Mauro, che non perde mai l'occasione di essere servile se non può essere almeno pusillanime.

Qualche mese fa, all'indomani del Vaffanculo-day proclamato da Beppe Grillo e soci, Ezio Mauro bacchettava gli avvenimenti di piazza con un avvilente editoriale in cui esprime il suo contegno per l'aggrumarsi della plebaglia attorno al suo capopopolo. Lo so, l'articolo è lungo e non avete tempo di leggerlo adesso, ma conservate il collegamento e dategli un'occhiata appena ne avete la possibilità, perché ne vale la pena.

Come già ebbi modo di scrivere altrove, credo che alcune delle cose che Mauro scrisse in quell'editoriale fossero (e siano) vere. È vero che l'Italia è un paese anomalo nel contesto dell'Occidente, per il suo presente e per il suo passato. È vero che, in un paese sano, (cito)

[...] il sussulto di ribellione [...] avrebbe preso la strada di una spinta forzata al cambiamento e alla riforma. Non di un disincanto che si trasforma in disaffezione democratica mentre la protesta diventa una sorta di secessione dalla vita pubblica.

...ma per il resto, siamo seri. È ridicolo sostenere che siamo giunti a questo punto attraverso una perdita graduale dell'identità nazionale. Vorrei tanto che Mauro mi spiegasse da dove è cominciato questo percorso, allora. Quand'è che ci siamo sentiti italiani? In tutta onestà, l'ultima volta che è capitato a me è stato dopo i rigori di Italia-Argentina, semifinale dei mondiali del '90. Dov'è questa spinta di partecipazione alla cosa pubblica che Ezio Mauro rimpiange?

Ho tanto l'impressione che qui si giochi ad innalzare la propria realtà a condizione universale. Il ristretto entourage di amicizie di un brillante giornalista piemontese improvvisamente assurge al ruolo di condizione universale. Il metro quadrato che lo circonda diventa l'Italia tutta. Dov'è questo impegno sociale? C'è mai stato? Non parlo dei soliti circoletti di intellettualoidi; sto parlando di partecipazione di massa. Quando mai è esistita?

La verità è che l'Italia stessa non è mai esistita. "Abbiamo fatto l'Italia, si tratta adesso di fare gli italiani", diceva D'Azeglio; e cosa è stato fatto per fare gli italiani? Se non esistesse la televisione non saremmo neppure capaci di parlare la stessa lingua. Il Nord industriale ha sfruttato il Sud agricolo come risorsa di manodopera a basso costo, favorendo lo sviluppo di brigantaggio e diserzione; la povera gente del Sud è stata costretta ad emigrare al Nord per lavorare nelle fabbriche; i briganti e i disertori sono diventati mafiosi e camorristi; il Sud è stato completamente abbandonato dallo Stato italiano alla mercé dell'altro Stato; e centoquarantasei anni dopo l'unificazione dell'Italia, un giornalista piemontese mi viene a dire "non ci sentiamo italiani, che cosa disdicevole". Perdonatemi la citazione: ma vaffanculo. Di tutto cuore.

Ma c'è di più: la partecipazione di massa alla vita politica non esiste nemmeno qui, in Svezia, un paese universalmente riconosciuto come una delle democrazie più avanzate del mondo e come portatore di valori di libertà e di uguaglianza. Sapete cosa dice la gente qui della politica? "Destra, sinistra, in fondo non cambia niente". Disinteresse completo, persino peggio che da noi. Certo, il loro "non cambia niente" ha tutto un altro tono rispetto a quello che diciamo noi, ma il risultato è lo stesso: disinteresse. Ma allora, forse forse, questo V-Day era esattamente il contrario di quello che ha scritto Mauro. Forse era la spia di un crescente interesse dei cittadini italiani nella gestione della cosa pubblica. Almeno sembra che la gente si fosse resa conto che delegare "quelli lì" a governare non basta. Poi, certo, è ovvio che la massa resta massa e si coagula attorno al suo capopopolo... ma forse (ripeto: FORSE) qual giorno, per lo meno, qualcosa si stava agitando.


Venendo ad oggi, invece, vi raccomando la lettura del suo ultimo editoriale, intitolato (ma non mi dire) "L'eterno ritorno del Cavaliere". Non voglio commentare la sua analisi dei flussi di voto di queste elezioni (che non condivido) né il panegirico del PD (nuovo dogma dell'intellighenzia di potere sedicente sinistroide), ma mi limiterò a riportare qui le ultime righe di questo capolavoro di cerchiobottismo:

La speranza [...] è che Berlusconi - giunto alla sua terza prova e liberato dal terrore di rendere conto alla giustizia repubblicana - possa sentire l'ambizione di governare davvero, scoprendo l'interesse generale dopo l'abuso di interessi privatissimi. Se questo accadrà, sarà un bene per il Paese, che non ha più né tempo né occasioni da perdere.

Cosa?! Riconoscete l'idea? Pensateci. Sono sicuro che è capitato a tutti in questi giorni di assistere ad una conversazione del genere. L'altro giorno la mia amica Nicla (la mia Amicla) mi raccontava di un bidello che si compiaceva della vittoria di chi-sapete-voi così: "Professore', ma quello s'è tirato su tutte quelle aziende, s'è fatto un sacco di soldi, vuol dire che è bravo". Io ho sentito altre persone dire: "Sì, è vero, ha rubato, si è fatto i cazzi suoi, è scampato a processi, [eccetera... taglio per brevità] però ormai ha fatto tutto quello che doveva fare e può finalmente dedicarsi all'Italia". Ecco, questa è la meravigliosa speranza che Ezio Mauro invoca dalle pagine del suo quotidiano.

È vergognoso. Bisogna però riconoscergli che si sa esprimere decisamente meglio del bidello.

Quanto a "Repubblica", ha già fatto l'esperienza della destra, giocando la sua parte, e senza mai inseguire il ruolo di giornale di opposizione, perché non è un partito. Preferiamo semplicemente essere un giornale: con una certa idea dell'Italia, diversa da quella oggi dominante, un'idea certo di minoranza, e che tuttavia secondo noi merita di essere custodita e preservata.

Qui si è reso conto di aver passato il confine; anche se chi legge Repubblica ha un bel po' di pelo sullo stomaco, inneggiare alla coscienziosità istituzionale di chi-sapete-voi è veramente dura da digerire. Mauro lo sa, e ci tiene a sottolineare che Repubblica ha una certa idea dell'Italia, magari di minoranza, ma pur sempre preziosa e valida. Se volessi credergli dovrei farlo sulla parola, perché a me era sembrato che Repubblica fosse uno dei principali quotidiani nazionali, fedelmente allineato alla linea politica dominante e prezioso alleato dei poteri nella gestione dell'opinione pubblica; in poche parole, un efficace strumento del sistema.

mercoledì 9 aprile 2008

La guerra dei mondi

Oggi telefono al servizio clienti delle ferrovie svedesi e mi risponde la solita voce femminile registrata che mi ringrazia per averli chiamati. Ma ecco che una voce maschile si intromette e subitanea annuncia:

Vi ber att få uppmärksamma dig på att vi nu stänger dörrarna på våra tåg trettio sekunder före utsatt avgångstid. Detta för att kunna avgå i rätt tid.

Io mi dico: "COOOOOOOSA?!". Questa è la reazione che avrebbero più o meno tutti, non capendo una ceppa di svedese. Ma io la so più lunga. Traduzione a braccio:

Preghiamo la gentile clientela di osservare che le porte del treno si chiudono trenta secondi prima dell'orario di partenza, allo scopo di mantenere la tabella di marcia.

COOOOOOOSA?! Ma fanno sul serio? Chiudono le porte esattamente trenta secondi prima dell'orario di partenza? Sempre? Non fraintendetemi. Non è che dopo quattro anni qui mi continuo a stupire di queste cose. È che so perfettamente che quando le racconto, nessuno mi crede.

domenica 6 aprile 2008

La fisica come la vedo io

La fisica — diciamocelo — non è mai stato un argomento di conversazione particolarmente popolare. La gente preferisce parlare del tempo, del pallone o dell'ermeneutica heideggeriana. Chi trae piacere da una discussione sull'elicità dello spinore di Dirac (sì, vi vedo là in fondo, potete abbassare le mani) sa di far parte di una specie rara, forse in via d'estinzione, e probabilmente è meglio così. Dico, magari questa specie si porterà nella tomba anche la notizia dell'esistenza dello spinore di Dirac.

Per qualche motivo imprecisato, tuttavia, alcuni concetti di fisica sono riusciti a superare la barriera naturale del circolo degli iniziati e si sono talmente diffusi nella comunità che sono giunti ad esercitare fascino ed attrattiva persino sull'uomo della strada. Occhei, non proprio sull'uomo della strada. Su moltissime persone. Molte persone. Alcune. Poche. Con gli occhiali. Un po' secchioncelli. Tipicamente disadattati sociali. Insomma, quelli che avrebbe potuto studiare fisica ma sono finiti a ingegneria.

Torniamo alla fisica. Si potrebbero fare numerosi esempi di argomenti di conversazione fisicheggianti alla portata dei personaggi di cui sopra. Si potrebbe anche andare a Bardonecchia in ginocchio con una molletta per i panni attaccata al pisello, ma non mi sembra un buon motivo per farlo. Ergo, mi limiterò a menzionare i casi più eclatanti.

Un argomento che va sempre molto forte è la teoria della relatività. La cosa non sorprende, giacché l'abbandono di spazio e tempo newtoniani a favore di un continuum quadridimensionale è una cosa che va giù a pochi, specie a quelli che si erano affezionati. Ma così è la scienza: un giorno di luglio ci si mette in macchina con lo spazio e il tempo newtoniani, si va in autostrada, li si fa scendere in una piazzola di sosta e si scappa. Non sarà carino, ma è necessario per comprendere le leggi che regolano la luce. Alcuni anni dopo, infatti, furono scoperti l'interruttore e l'ENEL. Lo spazio newtoniano è stato investito da un TIR mentre tentava l'attraversamento della Como-Chiasso. Il tempo, invece, volge al bello.

Un altro cavallo di battaglia dei nerd succitati è la meccanica quantistica. Anche qui, come per la relatività, saranno in pochi a gridare allo scandalo. (Bisognava farlo prima, quando l'hanno inventata. Ora è troppo tardi.) La meccanica quantistica, infatti, mette a dura prova gli elementi più fondamentali della nostra esperienza quotidiana, come l'idea che gli oggetti si trovino in un posto o che esistano quando non li si guarda. Anche se certi (io) vedono queste peculiarità come chiare indicazioni del fatto che questa teoria dovrebbe essere usata per accendere il fuoco nei caminetti e che si dovrebbe ricominciare dallo spettro del corpo nero, altre persone più qualificate di me hanno portato avanti coraggiosamente queste idee e ne hanno fatto una teoria e un credo. Vorrei però che tutti siano consapevoli di come sono andate in realtà le cose. Tra le persone "più qualificate" c'era Louis de Broglie, un laureato in storia che ha sostenuto la natura ondulatoria della materia nella sua tesi di dottorato. Storia. Non ci posso pensare. Se fossi stato io il relatore di de Broglie, le cose sarebbero andate così:

de Broglie: ...e quindi l'idea è che l'elettrone in realtà è un'onda.
Davide: Un'onda?
de Broglie: Ma sì.
Davide: Forse lei vuol dire "una particella".
de Broglie: Anche.
Davide: de Broglie, non faccia lo spiritoso. Non siamo alle scuole elementari.
de Broglie: No, professore, davvero! L'elettrone è un po' qui, un po' lì, ma il nostro linguaggio non è adatto a parlarne...
Davide: Allora torni quando avrà imparato.
de Broglie: Ma la doppia natura delle particelle...
Davide: Ma lei non era laureato in storia?
de Broglie: Sì.
Davide: Vada a zappare la terra.

Purtroppo, a quei tempi io non c'ero, e così oggi, per colpa di de Broglie e dei suoi amichetti, ci ritroviamo eredi di una teoria che funziona alla grande e della quale nessuno capisce niente. E non voglio neanche toccare l'argomento "teoria quantistica dei campi".

Ma nessuno degli argomenti di cui ho parlato finora può uguagliare in popolarità il secondo principio della termodinamica, universalmente (?) riconosciuto come terra di confine tra fisica e poesia. A dimostrazione di ciò cito un brano del S. Rosati, "Fisica generale", il mio libro di testo per l'esame di Fisica I.

Le continue trasformazioni che avvengono in natura fanno diminuire costantemente le differenze tra le temperature dei vari corpi e, come conseguenza, l'energia assume forme sfruttabili sempre più difficilmente, cioè l'energia si degrada. Così, la temperatura del sole diminuisce costantemente e quando dappertutto si avrà la stessa temperatura ogni trasformazione di energia, e quindi ogni processo, sarà impossibile.

Che dire? Una scena apocalittica che non può non far pensare alla sigla di Ken il Guerriero. Questo ci insegna che ciò che rende così irresistibilmente attraente il secondo principio della termodinamica è il sentimento del Sublime che esso esprime e trasmette.

Se ci si lascia prendere la mano, però, è facile scivolare nella paranoia di vedere il riflesso del secondo principio nella vita quotidiana. Io, per esempio, ogni volta che prendo una scala mobile affollata mi domando sempre: e se uno qualunque dei passeggeri decidesse di intalliarsi al termine della scala? La macchina (termica) infernale continuerebbe a sfornare cristiani che finirebbero per accumularsi contro l'ostacolo maciullato in un carnaio sanguinolento. Il fatto che nessuno si intallei rappresenta per il sistema "scala mobile" una condizione molto ordinata, con entropia molto bassa. Come mai non si verifica mai il contrario? Vai a saperlo.

Altro esempio: scrivo un programma di sedicimila righe e sbaglio un'istruzione; invece di scrivere
   if( a < b )
distrattamente scrivo
   if( a > b )
Il mio programma ovviamente non funziona e ci metto tre ore a scoprire perché. Ora, dico io, di quanto differisce il programma corretto da quello sbagliato? Qualche byte, probabilmente. Qual è la probabilità che una tale fluttuazione si produca spontaneamente? Dev'essere enorme. E come fanno allora i programmi a funzionare?

Si immagini una stanza ermeticamente sigillata. All'interno della stanza ci sono io con una confezione di costruzioni Lego Technic, preferibilmente la ruspa o la benna che mi piacciono tanto. All'inizio, la ruspa è smontata e i pezzi sono ammassati in disordine sul pavimento; l'entropia delle costruzioni è alta. Io mi siedo pazientemente per terra e metto insieme i pezzettini per costruire la ruspa. Due ore dopo, la ruspa è pronta; i pezzettini sono in uno stato ordinato che più ordinato non si può: la loro entropia è diminuita notevolmente. Però attenzione! Poiché la stanza è un sistema isolato, la sua entropia complessiva non può che aumentare! E che fine ha fatto l'entropia che le costruzioni hanno perso?

La risposta è agghiacciante: è nella mia testa. Ecco che fine fa l'entropia. L'essere umano si affanna a creare ordine nel mondo, a spazzare, a fare meno casino, a piegare la Natura ai suoi voleri, a ridurre l'entropia dell'universo; e, così facendo, non fa altro che zucarsi l'entropia delle cose, assorbirla e produrne ancora un altro po' (perché le trasformazioni sono tutte irreversibili). Tutta quest'entropia non ci può fare bene. Altro che OGM, inquinamento e palle varie: il problema è l'entropia. Per curarmi da questo male, ho preso l'abitudine di enunciare cifre decimali a caso prima dei pasti, e di battere a caso sulla tastiera del mio computer dopo i pasti. Ieri sera dopo cena ho battuto per un paio d'ore, e quando sono andato a rileggere ho scoperto che avevo scritto questo brano:

Shall I compare thee to a summer's day?
Thou art more lovely and more temperate:
Rough winds do shake the darling buds of May,
And summer's lease hath all too short a date:
Sometime too hot the eye of heaven shines,
And often is his gold complexion dimm'd;
And every fair from fair sometime declines,
By chance, or nature's changing course untrimm'd;
But thy eternal summer shall not fade,
Nor lose possession of that fair thou ow'st,
Nor shall death brag thou wander'st in his shade,
When in eternal lines to time thou grow'st;
So long as men can breathe, or eyes can see,
So long lives this, and this gives life to thee.

mercoledì 2 aprile 2008

L'ora di latino

— Ragazzi, venerdì versione in classe.
— NOOOOOO! (sbadabam bam badabam)
— Silenzio!
— No, ja', pssure'!
— Non ci siamo esercitati proprio!
— Non abbiamo manco ripetuto la quinta coniugazione!
— Eeeeh, silenzio ho detto! Correggiamo le frasi per casa.
— ...
— Scamardella, comincia tu.
— Io?
— Eh.
— Maaaa pssure' veramente...
— Gargiulo.
— ...
— Mezzasalma.
— Ehm. Hostium exercitus multa oppida atque castella, quae Romani tenebant, cepit.
— Traduci.
— Ehm. Veramente non le ho fatte le frasi pssure'.
— Scornavacca.
— Ahem. La lettera di Attico che ha mandato è triste.
— Ma che c'azzecca?
— Uh, pssure', ho sbagliato a leggere! Ho letto quella di sotto! Hihihihihi!
— Non fare la deficiente e leggi.
— L'oste...
— Scornavacca, ma quale oste e osteria. Hostium! Che caso è hostium?
— Eee. Accusativo.
— No.
— Nominativo!
— No.
— Dativo!
— No.
— Genitivo!
— Genitivo...?
— Plurale.
— Braviiissima, Scornavacca! E da quale nome viene?
— ...
— Di che declinazione è?
— ...
— Pssure', è di seconda declinazione.
— Mezzasa', non dire fesserie. Hai avuto la possibilità di parlare, ora stai zitto.
— Ma comm'è, voi mo avete finito di dire che "um" vuol dire seconda declinazione!
— Mezzasalmaaaaaa!
— Vabbuo', aggio capito.
— Scornavacca, allora?
— Pssure', hostis hostis, terza declinazione.
— Ti sei ricordata improvvisamente, eh?
— Eh.
— E che vuol dire?
— L'oste.
— ...
— L'ostia.
— ...
— L'ostello.
— Ma secondo te nell'antica Roma c'erano gli ostelli della gioventù?
— No.
— Eh.
— Eh.
— E quindi?
— ...
— ...
— L'ostacolo.
— Scornavacca, pensa a "ostile".
— Aaaaa! Ostile! Cioè, cattivo! La cattiveria!
— Ma che diciiiii!
— Pssure', lo posso dire io?
— E dici, Biagio, dici.
.
— Come?
.
— No. Significa "nemico".
— !!!
— Declinalo.
— Hostis, hostis, hosti, hostem, hostis, hoste.
— Plurale?
— Hostes, hostium, hostibus, hostes, hostes, .
— Come?
.
— Ah. Non avevo sentito bene.