lunedì 29 dicembre 2008

Solo

Fu negli anni della prima maturità che il tenente Tenebra si accorse per la prima volta delle diserzioni dei suoi colleghi. Dapprincipio non vedeva alcuna sistematicità nei casi che gli si presentavano e che la sua interpretazione del reale manteneva scorrelati e isolati. Si diceva che a tutti dovevano capitare delle esperienze del genere dopo alcuni anni di carriera; con tutti i giovani poliziotti che Tenebra conosceva e con i quali era cresciuto, era pur normale che tra di essi ci fosse qualcuno che aveva perso la vocazione o che scopriva tardivamente di non averla mai avuta: era una questione di statistica di Poisson, e Tenebra corroborava la sua tesi approfittando di dati ministeriali e delle reminiscenze di matematica di base dai tempi dell'accademia.

Ma le defezioni diventavano sempre più frequenti con gli avanzamenti di carriera: i capitani disertavano più dei tenenti, i tenenti più dei marescialli e i marescialli più dei sergenti. Ben presto l'anzianità di servizio di Tenebra gli rese impossibile continuare a ignorare l'evidenza delle cose. Quando anche uno dei suoi compagni di accademia, uno dei suoi amici più cari, voltò le spalle alla giustizia, il tenente ne fu toccato profondamente. Con amarezza ammise che le coincidenze esistono soltanto nella vita degli altri e improvvisamente si accorse che la differenza tra capire e conoscere lo costringeva a riconoscere la causa del ricorrere delle diserzioni.

Il contatto prolungato con il crimine ci corrompe, scriveva nelle sue memorie un Tenebra intriso di echi nietzscheani, più a lungo combattiamo il male, più siamo costretti a metterci in gioco. Impariamo a conoscere il nostro nemico, gli diamo un volto e una voce, riconosciamo il suono dei passi, le movenze abituali, i difetti e gli errori. Alcuni si illudono di poter commettere il crimine perfetto, di aver imparato tutto dai propri avversari e si lasciano trascinare dalla velleità dell'emulazione; ma non si tratta che di pochi casi isolati. La maggior parte dei disertori sono persone integerrime. La lotta al male li assorbe completamente e li circonda di malviventi, assassini e canaglie di ogni specie. Il crimine diventa parte della loro vita. Ho notato che per molti la caduta non ha un vero e proprio inizio ma evolve in maniera continua, dai favori fatti agli informatori alle indulgenze promesse ai pesci piccoli; e dall'indulgenza si scivola inconsapevolmente nella complicità. Dal momento in cui il crimine assume la forma umana del nostro compagno, come possiamo continuare a combatterlo? Un principio non vale un'amicizia.

Qual è il vero tradimento? Quello verso i princìpi o quello verso le persone che amiamo?

Questa è una domanda alla quale credevo di saper rispondere, ma ora inizio a dubitarne. Ho paura di continuare la mia guerra, ho paura di perderci me stesso; eppure devo scegliere. La domanda mi si pone oggi con una perentorietà senza precedenti, direi quasi con violenza; ma qualunque cosa scelga, ne soffrirò. Forse potrei cedere di un'unghia per avvicinarmi ai miei colleghi, cercare di capirli meglio, e forse finirei anche per trarne beneficio nella mia lotta contro il crimine; ma lo vivrei come un tradimento verso la Giustizia. E non ho forse già ceduto innumerevoli volte?

No. Non posso permettermi altre debolezze. Non so se sarò in grado di resistere per sempre, ma un abbandono è tanto più colpevole quanto più tardi esso avviene, perché siamo sempre di meno a condividere la responsabilità della lotta al male ogni giorno che passa. La guerra deve continuare, e io devo continuare a combattere. Combatterò.

Solo.

mercoledì 24 dicembre 2008

Ué ué

In quale luogo della Terra mi trovo se ho assistito alle due conversazioni seguenti a distanza di pochi minuti?


(Alla cassa del bar.)

Ragazza:Scusi, per andare in bagno cosa devo fare? [sic]
Cassiere:Allora, lei vede il bancone? Lo segua e esca dalla porta dall'altro lato del bar. Una volta fuori si gira su sé stessa e vede un'altra porta, lei la apre con questa chiave (le dà la chiave), entra nel corridoio, alla fine del corridoio c'è un'altra porta, lei la apre con l'altra chiave, entra in un altro corridoio, va a sinistra, sale le scale, al piano di sopra c'è una porta a soffietto e dietro la porta a soffietto c'è il bagno.
Io:Nientedimeno? E vvuje accussì l'avite mannata ô bbagno a Mmarechiaro!


(Al bar. Una ragazza ruspantella si lamenta con le amiche della gelosia del fidanzato.)

Ragazza:Perché poi lui è uscito con le sue amiche nude, ci stanno le foto! Se uscivo io nuda con i miei amici, spacciati cielo!

giovedì 18 dicembre 2008

Letterina al Bambino Ggiesù

Caro Bambinello,

È di nuovo dicembre, e anche quest'anno, come ogni anno, non sono morto. La cosa mi comincia a innervosire, specie quando mi ritrovo per strada travolto da folle scalmanate e ansiose di convertire la tredicesima in pezze, scarpe o pensierini. Sono tre settimane che giro per casa in ciabatte da mare, non perché mi si sia rotto il termostato del riscaldamento ma perché ho rotto le mie pantofole vecchie e non riesco a restare in centro abbastanza a lungo per comprare quelle nuove. L'ultima volta che ci ho provato il mio super-io se l'è vista davvero brutta quando mi sono avvicinato con la vescica rigonfia all'albero di Natale di H&M.

Da allora esco di casa solo bendato e con i tappi nelle orecchie. Il lato positivo è che evito la visione dello scempio consumistico e sfuggo all'ipnotico bombardamento di canzoncine da Edenlandia1; il lato negativo è che sto sempre con le ciabatte da mare e dubito che le pantofole mi vengano a cercare spontaneamente.

Tuttavia, caro Bambinello, non ti scrivo per chiederti un paio di pantofole; a quello penserà mia mamma. C'è un'altra questione che mi sta a cuore, ed è ben più importante.

A dicembre, caro Bambinello, io starei rotto di cazzo già se non ci fosse il Natale, per il solo fatto che le ore di luce diurna sono al minimo; figurati con il Natale (no offence meant). Naturalmente, il mio atteggiamento disdegnoso viene spesso stigmatizzato dagli idolatri dell'atmosfera natalizia, quegli invasati che sembrano sotto Prozac da Ognissanti a San Silvestro, che si eccitano guardando i pisellini dell'albero di Natale che si accendono e si spengono nella stanza accanto e che ogni tanto vanno alla messa di mezzanotte e/o guardano il concerto di Natale in Vaticano alla TV. Codesti figuri, caro Bambinello, pensano che a Natale dobbiamo essere tutti felici, anche se è morto il cardillo, anche se sei denutrito, ti bombardano la casa e della tua guerra nessuno sa niente. Allora (a) mi perseguitano nel tentativo di risvegliare il mio spirito natalizio perduto, e (b) poiché a Natale siamo tutti più buoni, danno cinquanta euro in beneficenza; così, con la coscienza a posto, ne possono consacrare cinquecento, nell'immediato, e una cifra imprecisata, per tutta la durata dell'anno nuovo, a borse di Gucci, pullover di Pierre Cardin e altre rappresentazioni immanenti dell'idea del Futile.

Ecco, caro Bambinello, quello che vorrei chiederti quest'anno è di fulminarli tutti.

Con cordiale affetto e immutata stima,

Davide       


1 Io vorrei sapere in particolare chi è il deficiente che ha scritto quella canzone2 che fa

Feliz Navidad (x3)
Prospero año y felicidad
I want to wish you a merry Christmas (x3)
From the bottom of my heart

(Ripetere una sessantina di volte, salendo di un tono di tanto in tanto.) Per favore, qualcuno spieghi a questo tizio che esistono anche gli accordi minori. ^

2 Secondo Wikipedia, trattasi di Feliz Navidad3 di José Feliciano, cantante e musicista portoricano (sordo). E in quale Paese questa canzone cerebrolesa va fortissimo?

Feliciano's version of "Feliz Navidad" [...] is one of the most downloaded and aired Christmas songs in the United States and Canada.

Once again, tout se tient. ^

3 Come avrò fatto a scoprire il titolo della canzone? ^

mercoledì 3 dicembre 2008

Luttazzinger

L'altro giorno mi scervellavo cercando di immaginare un analogo classico del meccanismo di Higgs e improvvisamente mi è venuto in mente Daniele Luttazzi. Che c'entra? Vai a saperlo. È innegabile però che sia un buon incipit. "Che fine ha fatto Luttazzi?", mi sono chiesto. Vuoi vedere che si è fatto arrestare? Vuoi vedere che lo hanno mandato a Sant'Elena? Vuoi vedere che si è aperto un bar a Capo Verde? La questione meritava di essere approfondita, soprattutto se paragonata alla faccenda del bosone. Allora ho sguinzagliato il mio commando di cardilli indiscreti e nel giro di un frullar d'ali ho scoperto la verità.

Luttazzi è stato assunto dal papa come ghostwriter. Cioè, il papa ci mette la faccia e Luttazzi la penna: Luttazzi gli scrive di nascosto le filippiche per l'Angelus della domenica, le omelie per la messa a San Pietro e i discorsi da fare nelle università italiane, il papa dice che ha scritto tutto lui e ci fa bella figura. Luttazzi è succeduto nell'ufficio di Gran Scribacchino Pontificio (questo il titolo ufficiale) ad un Rottweiler di nome Jürgen che il Signore ha prematuramente chiamato accanto a sé, probabilmente per farsi sorvegliare il garage. Il Rottweiler però era stato addestrato a scrivere soltanto in tedesco e finiva sempre che dovevano usare Babelfish per tradurre i testi in italiano. Ruini ne ha parlato a lungo con Ratzinger e alla fine è riuscito a convincerlo a prendere Luttazzi, ma soltanto a malincuore. Il pontefice, comunque, si fidava di più del Rottweiler. Luttazzi, pure.

Da quando Luttazzi lavora per il papa, la popolarità del clero è in netta risalita, dopo anni e anni di tracollo causati da quel papa pallosissimo che andava in pigiama alle feste. Ora, invece, quando guardo il TG1 delle otto (il quale, per chi ancora non ci avesse fatto caso, parla del papa ogni sera — io ne ho preso coscienza al ritorno dai primi mesi di vita all'estero) e scopro che il papa ha detto un'altra cazzata, mi faccio una bella risata e recito una preghierina di ringraziamento alla Divina Provvidenza e ai piani imperscrutabili hanno anticipato il congiungimento del buon Jürgen con le schiere celesti. Il successo di Luttazzi è stato tale che Ratzinger è stato costretto a prestarne i servigi ai suoi amici prelati. Un occhio attento non faticherà infatti a riconoscere la mano esperta di un comico navigato come Luttazzi nel surrealismo di certe battute episcopali o cardinalizie.

Il caso più recente è descritto in questo articolo, dove si legge:

È scontro tra ONU e Vaticano. La Santa Sede boccia, con decisione, il progetto di una depenalizzazione universale dell'omosessualità. Un'iniziativa presa dalla presidenza di turno francese dell'Unione Europea, e accolta da tutti i 27 Paesi della UE.

Fin qui niente di speciale. Ma ecco che Luttazzi si tradisce nelle parole dell'arcivescovo Celestino Migliore (un nome, una carriera):

Immediato il "no" della Santa Sede: "Gli stati che non riconoscono l'unione tra persone dello stesso sesso come 'matrimonio' — dice monsignor Celestino Migliore — verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni".

Lo so, non si capisce subito, ma è proprio per questo che è una grande vetta della comicità. Sarebbe un po' come dire che l'abolizione della pena di morte equivale dunque a "mettere alla gogna" Cina e Stati Uniti; ergo, non possiamo abolire la pena di morte. Che dire? Chapeau. Già ci sarebbe da spiegare al mondo che ci fa un arcivescovo alle Nazioni Unite, dato che sembra l'inizio di una barzelletta ("allora, c'è un arcivescovo alle Nazioni Unite..."), ma uscirsene con una battuta del genere è un virtuosismo degno di un genio della risata.

(Luttazzi! Se mi leggi, inserisci il brano di quell'articolo in un tuo spettacolo come se fosse una delle tue notizie!)