Il signor Palomar ha pestato una cacca di cane. È in una strada della sua città ed è piuttosto irritato, non perché non gli sia già capitata la stessa cosa, ma soprattutto perché proprio quel mattino ha indossato le scarpe di tela con la suola di gomma tutta fitta di scanalature a spina di pesce. Benché il signor Palomar solitamente non indulga in comportamenti violenti e si consideri un tipo tollerante e rispettoso degli animali (non lo si potrebbe definire un amante degli animali: per amare gli animali è necessaria prima una certa misura di odio per gli uomini, e il signor Palomar non se la sentirebbe davvero di condannarli tutti senza averli prima conosciuti ed ascoltato le loro ragioni), in questo momento si guarda dintorno rabbioso come se cercasse il responsabile del suo incidente per consumare una vendetta immediata. Al signor Palomar viene in mente che questi maledetti cagnacci scagazzatori astenosfinterici andrebbero esiliati tutti su un'isola deserta a un centinaio di miglia dalla terraferma dove sianerebbero liberi di divorarsi a vicenda e di seppellirsi nei propri escrementi senza attentare alla pulizia delle suole dei cittadini.
Lo scatto di rabbia tuttavia non dura più di qualche attimo e il signor Palomar ritrova la calma. Non può certo incolpare un animale di aver espletato una delle sue funzioni organiche. Certo, il cane insozza la proprietà pubblica; ma come si potrebbe rimproverarglielo, se non gli si riconosce prima il diritto di partecipare alla sua gestione? Il signor Palomar intuisce che la cosa "pubblica" proprio pubblica non è. Molti dei numerosi abitanti della città sono esclusi dalla sua gestione e dunque esentati dal rispetto dovutole: cani, gatti, piccioni, ratti e insetti vari, per cominciare. Giuridicamente equiparabili ai bambini, i cani non rispondono dei propri atti davanti al consorzio civile: dovrebbero essere i loro padroni a farlo per loro. Il signor Palomar davvero non sopporta le persone incivili. Maledetti imbrattatori dell'arredo urbano, pensa con rinnovato furore, incapaci di sorvegliare la copropoiesi dei propri animali da compagnia o, peggio, avallatori negligenti di comportamenti antisociali. Hai permesso al cane di fare la cacca per strada? Hai ritenuto superfluo insegnargli dove può fare cacca e dove no? Oh, bisognerebbe esiliarli tutti su uno scoglio disabitato con i loro cani. Ti faccio vedere allora come farebbero attenzione a non tappezzarne di feci l'intera superficie.
Proprio quando il signor Palomar è all'apice della sua collera, d'improvviso rimane folgorato da un pensiero. Se i cani sono socialmente equiparabili ai bambini — perché la persona responsabile della loro educazione risponde anche giuridicamente della loro condotta —, lo stesso vale per i padroni dei cani stessi, i quali, tempo fa, sono stati bambini. Il signor Palomar non può condannare la loro inciviltà senza accusare i loro genitori, veri responsabili della loro mala creanza. Ma i genitori a loro volta potranno fare appello allo stesso cavillo e scaricare la colpa sui nonni... il signor Palomar si lascia aspirare vertiginosamente dalle migliaia di generazioni della storia dell'umanità fino al signor Adamo Y-cromosomale, fino alla signora Eva Mitocondriale e fino al loro peccato originale.
Il signor Palomar è un po' infastidito dalla sua conclusione — la dimostrazione dell'esistenza di un peccato originale — e subito si industria per confutare la sua teoria. Il suo ragionamento deve contenere una fallacia; ecco, dev'essere semplicemente falso che genitori maleducati generano sistematicamente figli altrettanto maleducati. Ma certo! Palomar si batte la fronte per essersi lasciato tentare dal determinismo. Anche se i miei geni plasmano la mia materia, se l'ambiente in cui vivo modifica il mio fenotipo e se le mie nevrosi tramano contro la mia autodeterminazione, io resto libero di comportarmi diversamente da mia madre e mio padre. Il signor Palomar sorride all'idea di essere stato costretto a introdurre il libero arbitrio non già per spiegare l'esistenza del peccato originale, ma anzi per dimostrare che si tratta di una historically unnecessary hypothesis.
Ma ahimè, il suo sorriso dura ben poco. Se Adamo ed Eva erano liberi, così erano i loro figli, così i loro nipoti — il signor Palomar ridiscende a precipizio le quattromila generazioni che li separano dal padrone del cane e non può più impedirsi di riconoscergli la libertà di scegliere se lasciare la cacca sul marciapiede o chinarsi a raccoglierla. Ma se quell'uomo godeva di libero arbitrio, forse che il suo cane era da meno? Il signor P. cammina trasognato, assorbito dalla riscoperta della dialettica tra libertà e responsabilità, e non si accorge della nuova cacca che sta per calpestare con l'altro piede.