Ma perché continuo a leggere Repubblica? Me lo domando puntualmente quando leggo gli editoriali di Ezio Mauro, che non perde mai l'occasione di essere servile se non può essere almeno pusillanime.
Qualche mese fa, all'indomani del Vaffanculo-day proclamato da Beppe Grillo e soci, Ezio Mauro bacchettava gli avvenimenti di piazza con un avvilente editoriale in cui esprime il suo contegno per l'aggrumarsi della plebaglia attorno al suo capopopolo. Lo so, l'articolo è lungo e non avete tempo di leggerlo adesso, ma conservate il collegamento e dategli un'occhiata appena ne avete la possibilità, perché ne vale la pena.
Come già ebbi modo di scrivere altrove, credo che alcune delle cose che Mauro scrisse in quell'editoriale fossero (e siano) vere. È vero che l'Italia è un paese anomalo nel contesto dell'Occidente, per il suo presente e per il suo passato. È vero che, in un paese sano, (cito)
[...] il sussulto di ribellione [...] avrebbe preso la strada di una spinta forzata al cambiamento e alla riforma. Non di un disincanto che si trasforma in disaffezione democratica mentre la protesta diventa una sorta di secessione dalla vita pubblica.
...ma per il resto, siamo seri. È ridicolo sostenere che siamo giunti a questo punto attraverso una perdita graduale dell'identità nazionale. Vorrei tanto che Mauro mi spiegasse da dove è cominciato questo percorso, allora. Quand'è che ci siamo sentiti italiani? In tutta onestà, l'ultima volta che è capitato a me è stato dopo i rigori di Italia-Argentina, semifinale dei mondiali del '90. Dov'è questa spinta di partecipazione alla cosa pubblica che Ezio Mauro rimpiange?
Ho tanto l'impressione che qui si giochi ad innalzare la propria realtà a condizione universale. Il ristretto entourage di amicizie di un brillante giornalista piemontese improvvisamente assurge al ruolo di condizione universale. Il metro quadrato che lo circonda diventa l'Italia tutta. Dov'è questo impegno sociale? C'è mai stato? Non parlo dei soliti circoletti di intellettualoidi; sto parlando di partecipazione di massa. Quando mai è esistita?
La verità è che l'Italia stessa non è mai esistita. "Abbiamo fatto l'Italia, si tratta adesso di fare gli italiani", diceva D'Azeglio; e cosa è stato fatto per fare gli italiani? Se non esistesse la televisione non saremmo neppure capaci di parlare la stessa lingua. Il Nord industriale ha sfruttato il Sud agricolo come risorsa di manodopera a basso costo, favorendo lo sviluppo di brigantaggio e diserzione; la povera gente del Sud è stata costretta ad emigrare al Nord per lavorare nelle fabbriche; i briganti e i disertori sono diventati mafiosi e camorristi; il Sud è stato completamente abbandonato dallo Stato italiano alla mercé dell'altro Stato; e centoquarantasei anni dopo l'unificazione dell'Italia, un giornalista piemontese mi viene a dire "non ci sentiamo italiani, che cosa disdicevole". Perdonatemi la citazione: ma vaffanculo. Di tutto cuore.
Ma c'è di più: la partecipazione di massa alla vita politica non esiste nemmeno qui, in Svezia, un paese universalmente riconosciuto come una delle democrazie più avanzate del mondo e come portatore di valori di libertà e di uguaglianza. Sapete cosa dice la gente qui della politica? "Destra, sinistra, in fondo non cambia niente". Disinteresse completo, persino peggio che da noi. Certo, il loro "non cambia niente" ha tutto un altro tono rispetto a quello che diciamo noi, ma il risultato è lo stesso: disinteresse. Ma allora, forse forse, questo V-Day era esattamente il contrario di quello che ha scritto Mauro. Forse era la spia di un crescente interesse dei cittadini italiani nella gestione della cosa pubblica. Almeno sembra che la gente si fosse resa conto che delegare "quelli lì" a governare non basta. Poi, certo, è ovvio che la massa resta massa e si coagula attorno al suo capopopolo... ma forse (ripeto: FORSE) qual giorno, per lo meno, qualcosa si stava agitando.
Venendo ad oggi, invece, vi raccomando la lettura del suo ultimo editoriale, intitolato (ma non mi dire) "L'eterno ritorno del Cavaliere". Non voglio commentare la sua analisi dei flussi di voto di queste elezioni (che non condivido) né il panegirico del PD (nuovo dogma dell'intellighenzia di potere sedicente sinistroide), ma mi limiterò a riportare qui le ultime righe di questo capolavoro di cerchiobottismo:
La speranza [...] è che Berlusconi - giunto alla sua terza prova e liberato dal terrore di rendere conto alla giustizia repubblicana - possa sentire l'ambizione di governare davvero, scoprendo l'interesse generale dopo l'abuso di interessi privatissimi. Se questo accadrà, sarà un bene per il Paese, che non ha più né tempo né occasioni da perdere.
Cosa?! Riconoscete l'idea? Pensateci. Sono sicuro che è capitato a tutti in questi giorni di assistere ad una conversazione del genere. L'altro giorno la mia amica Nicla (la mia Amicla) mi raccontava di un bidello che si compiaceva della vittoria di chi-sapete-voi così: "Professore', ma quello s'è tirato su tutte quelle aziende, s'è fatto un sacco di soldi, vuol dire che è bravo". Io ho sentito altre persone dire: "Sì, è vero, ha rubato, si è fatto i cazzi suoi, è scampato a processi, [eccetera... taglio per brevità] però ormai ha fatto tutto quello che doveva fare e può finalmente dedicarsi all'Italia". Ecco, questa è la meravigliosa speranza che Ezio Mauro invoca dalle pagine del suo quotidiano.
È vergognoso. Bisogna però riconoscergli che si sa esprimere decisamente meglio del bidello.
Quanto a "Repubblica", ha già fatto l'esperienza della destra, giocando la sua parte, e senza mai inseguire il ruolo di giornale di opposizione, perché non è un partito. Preferiamo semplicemente essere un giornale: con una certa idea dell'Italia, diversa da quella oggi dominante, un'idea certo di minoranza, e che tuttavia secondo noi merita di essere custodita e preservata.
Qui si è reso conto di aver passato il confine; anche se chi legge Repubblica ha un bel po' di pelo sullo stomaco, inneggiare alla coscienziosità istituzionale di chi-sapete-voi è veramente dura da digerire. Mauro lo sa, e ci tiene a sottolineare che Repubblica ha una certa idea dell'Italia, magari di minoranza, ma pur sempre preziosa e valida. Se volessi credergli dovrei farlo sulla parola, perché a me era sembrato che Repubblica fosse uno dei principali quotidiani nazionali, fedelmente allineato alla linea politica dominante e prezioso alleato dei poteri nella gestione dell'opinione pubblica; in poche parole, un efficace strumento del sistema.
Una sola brillante interlocuzione a proposito:
Condivido in buona parte le tue opinioni.
Mi intristisce vedere l'elettorato di sinistra che si indigna per la vittoria di Berlusconi.
Nessuno si indigna per il centro-sinistra italiano che da 15 anni insegue unicamente il potere e, quando lo ottiene, lo gestisce in maniera biecamente corrotta esattamente alla pari di come fa il Cav.
La vera questione è quella meridionale. Di un sud allo sbando con un tasso di emigrazione ai livelli del dopoguerra.
Ma nessuno dei due "principali schieramenti" se ne frega.
E gli intellettuali di sinistra si indignano per gli affari sporchi di Berlusconi! tu gli dici "vaffanculo di cuore"! Io dico: "intellettuali.....aizat a merd!"
Di cuore!
Diego.
Interloquisci (possibilmente brillantemente)!