L'autobus della linea S, che collega regolarmente il Parc Monceau e la Porte de Champerret, era affollato come al solito. Mancavano pochi minuti a mezzogiorno e, nonostante la canicola estiva, la gente si pressava con ostinazione nel ventre del mezzo. Un giovane dal collo lungo e scarno si reggeva scomodamente alla porta d'uscita con una mano, mentre l'altra mano agitava l'aria satura con un curioso copricapo viola a tesa larga e cinto di un'insolita cordicella (anziché di un nastro, come si converrebbe).
Bemolle, da par suo, spingeva strenuamente con il braccio destro contro l'acciaio dell'autobus per evitare un'ulteriore, probabilmente fatale, compressione della sua gracile cassa toracica, mentre con la mano sinistra si concedeva di scaccolarsi con strafottenza. Al tempo stesso, in un virtuosistico esercizio di multitasking tipico della sua personalità poliedrica, si trastullava con un calcolo alla Fermi della quantità di sudore che traspirava dalle pelli dei viaggiatori per unità di tempo e di superficie. La sua fermata era ormai passata da un pezzo ma, come abbiamo visto, egli era per il momento dedito a faccende dagli esiti potenzialmente ben più esiziali di un trascurabile ritardo nello svolgimento dei suoi progetti immanenti.
Se dunque persino la concentrazione unwavering di uno stoico pensatore come Bemolle fu disturbata dagli strepiti gallinacei del giovane col cappello, si possono trarre immediate conclusioni sulla portata della causa di tale commozione. Difatti, di lì a poco apparve chiaro a tutti gli astanti che il ragazzo accusava un altro passeggero di pestargli i piedi apposta ogni volta che si apriva la porta di uscita e la gente si spintonava per emergere dal veicolo; e se ne lagnava in un registro insopportabilmente acuto della gamma di frequenze accessibile alla laringe umana.
« In sterquilino pullus gallinaceus dum quaerit escam, margaritam repperit », recitò Bemolle tra sé e sé; ma mal gliene incolse. Il posto a sedere accanto a lui si liberava appena e già il polliforme passeggero vi si gettava a corpo morto, senza concedere diritto di replica all'altro viaggiatore e soprattutto senza accorgersi dell'unremarkable presence di Bemolle; e di questo, in tutta onestà, non si sa se gliene si può fare una colpa. Bemolle fu raggiunto da una subitanea ginocchiata alla tempia e perse immediatamente i sensi, ma ciò non compromise la sua postura eretta fintanto che la densità di corpi all'interno dell'automezzo non scese al di sotto di una soglia critica che nessuno conosce con esattezza ma che gli esperti stimano essere compresa tra 3.3 e 3.9 persone/m².
Quando Bemolle si riebbe, l'autobus semivuoto transitava pigramente nei pressi della Gare St-Lazare. Bemolle prese mentalmente nota della pressione insistita esercitata dalla filettatura di una grossa vite sulle sue gengive e della spacevolezza della sensazione che ciò gli procurava, risolvendosi con decisione ad evitare il ripetersi della circostanza. A mano a mano che egli riprendeva possesso e controllo delle sue cagionevoli membra, la sua quota rispetto al pianale dell'autobus aumentava, e nel giro di poche decine di minuti, Bemolle ebbe finalmente la possibilità di sostituire al monotono abbacinamento del cielo parigino una più edificante visione della Cour de Rome; e fu lì che egli riconobbe il ragazzo dal cappello bizzarro, a passeggio con un amico che gli elargiva saccenti consigli sul posizionamento dei bottoni della di lui mantella.
Questa gibella è stata pubblicata anche su La mandria pazza (cos'è?).