Il corso pomeridiano di restauro stava ormai per terminare e la vecchia e tarlata pendola a muro aveva incontestabilmente vinto a mani basse la sua disfida personale contro il pregiato comodino Luigi XIV, il quale, pur essendo un arredo di squisita fattura nonché oggetto della lezione del giorno, non riusciva ad assorbire che una frazione trascurabile dell'interezza dell'attenzione che il movimento lento e polveroso delle lancette dell'orologio aveva ipnoticamente esatto dalla classe stanca e tormentata da numerose cefalee a grappolo. L'unico allievo che continuava a concentrarsi con dedizione certosina sugli incastri a coda di rondine della preziosa suppellettile sedeva naturalmente in prima fila e prendeva febbrilmente delle note su un elegante taccuino di cuoio rilegato, sul quale, di tanto in tanto, non disdegnava di tracciare degli schizzi che ritraevano con fedeltà sorprendente ora l'intarsio di un piede, ora il piano di una mensola, ora un pomello di un cassetto.
Allorché la pendola batté stancamente le sette, con riflesso felino la classe si alzò come un sol uomo e scattò verso la porta farfugliando indistinte e poco convinte parole di saluto all'indirizzo della piacente insegnante. Solo l'uomo in prima fila si mosse con lassitudine, chiudendo con cura il taccuino e raccattando i ventisette fogli dattiloscritti che contenevano un dettagliato resoconto della ricerca iconografica da lui condotta a proposito degli arredi letto Luigi XIV. La giovane precettrice gli rivolse un'occhiata piena di ammirazione ed orgoglio, come solo le donne zitelle, senza figli e alle porte della menopausa sanno fare, o forse invece uno di quegli sguardi che sussurrano di candele, di lenzuola, di sudore e di carni maneggiate, e a volte anche di lattice, manette e altri gadget di poliedrica applicabilità... uno di quegli sguardi che solo le donne zitelle, senza figli e alle porte della menopausa sanno rivolgere.
L'uomo già aveva raccolto tutte le sue carabattole e si dirigeva verso l'uscita dall'aula vuota. L'insegnante (la quale, a titolo di cronaca, aveva quarantasei anni, era nubile, non aveva mai generato creatura e aveva cominciato ad avvertire negli ultimi tempi delle strane vampate di calore) lo intercettò con una manovra da cacciatorpediniere e gli posò delicatamente la mano curata sulla manica del paltò.
— Va già via? — sussurrò melliflua.
— Purtroppo il dovere mi chiama — disse l'uomo guardandola dal fondo di due occhi colmi di un'infinita stanchezza.
— A quest'ora?
— Non esiste ora per chi serve la Giustizia.
L'uomo crollò il capo, lo scosse dolcemente e si allontanò con delicatezza dalla suadente signora mentre questa lasciava scivolare le dita della sua mano sulla flanella del cappotto.
— Ma la vedrò a lezione la settimana prossima?
— Senza dubbio.
— Si ricordi delle tavole...
— Certamente.
— Se ha bisogno di un consiglio...
— La chiamerò volentieri.
— Allora buona serata...
— Buonasera.
— ...a mercoledì...
— ...
— ...tenente Tenebra.
Questa gibella è stata pubblicata anche su La mandria pazza (cos'è?).