Sarà colpa dei risultati elettorali, ma negli ultimi giorni c'è un pensiero che mi ossessiona. No, non ho intenzione di dichiararmi rifugiato politico (anche se effettivamente non sarebbe una cattiva idea), ma di una domanda antica quanto l'umanità stessa, forse persino quanto Rita Levi Montalcini: cosa vuole davvero la gente?
Numerosi scinziati hanno sconsideratamente consacrato le proprie carriere allo studio di questa spinosa questione. Il primo approccio, ancorché germinale e limitato, si trova già nei lavori sperimentali dell'équipe di Lennon e McCartney, pionieri del campo, tra cui ricordiamo I Want to Hold Your Hand (1963), I Want to Tell You (1966) e I Want You (She's So Heavy) (1969). Fu tuttavia necessario attendere gli anni Ottanta prima che si tentasse di costruire un modello teorico autoconsistente (Lauper, Girls Just Want to Have Fun, 1983). Guidati dalle lungimiranti previsioni di Lauper, gli esperimenti di Mercury et al. (I Want It All, 1989) misero in luce inattese sistematiche e permisero a tre membri della rinomata scuola di Göteborg — Ekberg, Berggren e Berggren — di applicare il metodo di Lauper all'ensemble dei desideri femminili (All That She Wants, 1992). L'estensione della teoria lauperiana alla descrizione dell'intera fenomenologia umana è piuttosto recente ed è opera di ricercatori italiani (Belisari et al., La gente vuole il gol, 2000). Quanto saranno affidabili queste teorie? Molto poco, se ci si ferma un attimo a riflettere. La verità, anzi la Verità, ma cosa dico, la VeriTà è scandalosamente evidente da secoli, e solo io me ne sono accorto.
La gente vuole il tunz-tunz.
Il tunz-tunz, genere musicale antichissimo, fu inventato una sera in cui un antico egizio particolarmente annoiato si accorse che bastava battere alacremente sul sacro tamburo di Anubi per rincoglionire completamente il circondario. Alternando sistematicamente un colpo al tamburo (tun) e una scossa al sacro sistro di Iside (z), il musico inanellò una machiavellica e ipnotica combinazione che riduceva istantaneamente di una ventina di punti il QI degli astanti e li costringeva a sollevare le mani, saltare scompostamente sul posto e agitare oscenamente la pelvi, anche se si trattava di personcine affatto rispettabili come scribi, sacerdotesse o faraoni.
I militari compresero immediatamente che il tunz-tunz racchiudeva un enorme potenziale di controllo sulle masse scalmanate ("il tunz-tunz è l'oppio dei popoli", osservò argutamente Marx secoli dopo). Da allora, chi ha trascurato di versare il proprio tributo sull'altare del tunz-tunz ne ha pagato le conseguenze, talvolta a caro prezzo. Bach si vide ignorare tutte le sue composizioni giovanili finché non produsse un paio di videoclip ritmati con ballerine discinte. Napoleone III intuì che se la gente faceva le quattro in discoteca, non si sarebbe alzata per fare la rivoluzione il giorno dopo, e fece costruire un'enorme boîte de nuit nel nono arrondissement (oggi nota come Opéra Garnier). Giulio Cesare mandava le falangi in battaglia con l'iPod a palla.
Celebre, infine, è l'episodio di Maria Antonietta:
— Maestà, il popolo non ha più tunz-tunz! Il popolo vuole ballare!
— Che ascoltino Bartók.
E sappiamo tutti che fine ha fatto.
A seguire: tecnica e struttura del tunz-tunz.
Una sola brillante interlocuzione a proposito:
mi sorprende la scelta di non menzionare la massima autorità, in materia:
Mao Tze-Tunz
Interloquisci (possibilmente brillantemente)!