Arles, ventisei giugno
Caro Teo,
Il portalettere mi ha lasciato stamane la tua ultima affettuosa missiva. Che buon uomo, monsieur Roulin; sarà passato sul presto come sua abitudine, mi avrà visto lungo disteso sul canapè del portico e avrà indovinato dalla regolare profondità dei miei respiri che navigavo ancora nel primo sonno. Immagino (e quasi lo vedo!) il suo barbone bonario e il sorriso dei suoi favoriti sempre in ordine, il fruscio delicato delle carte deposte sul tavolino di vimini e il velocipede di servizio che si allontana crepitando sullo sterrato.
Caro Teo, la coperta rossa che mi hai inviato mi racconta quanto sei preoccupato per la mia condizione. So che disapprovi la mia condotta insalubre e queste nottate all'addiaccio, ma lo zefiro provenzale è dolce e profumato e la mia cagionevole salute non corre seri rischi; la novella estate mi schiude le palpebre quando il sole è già alto e mi rivela la campagna che freme come un unico alveare, il profumo della lavanda e il riverbero abbacinante del cielo di Provenza sulle mura gialle della casa.
Ti ringrazio di cuore di tutte le pene che ti dai per me. Ero già al corrente del concorso all'accademia di polizia (me ne aveva parlato Arturo), ma non so se parteciperò. Teo, sto morendo. L'ho scoperto sei mesi fa. Me l'ha confermato anche il dottor Gachet, anche se cercava di sdrammatizzare e di convincermi che in fondo potrei essere messo peggio. Ma so per certo che mi restano meno di ottant'anni di vita.
Vedi, Teo, quando ero fanciullo non percepivo i limiti della mia esistenza. Avevo troppo poco passato per immaginare che il futuro esistesse, e il presente si dilatava fino a diventare un unico infinito pomeriggio. Ma esistono due tempi, amato fratello. Uno, chiamiamolo "tempo reale", è il tempo dei pendoli, del moto dei pianeti, della cottura del pane, dei fenomeni fisici, oggettivi, osservabili e riproducibili; l'altro, chiamiamolo "tempo apparente", misura la durata percepita da un essere senziente. La durata apparente di un certo fenomeno dipende naturalmente dallo stato psicofisico in cui il soggetto si trova durante il fenomeno; ma al di là di queste fluttuazioni locali possiamo immaginare un'evoluzione globale della percezione temporale con l'età dell'individuo (ovvero con il tempo reale). Sia t il tempo reale e τ il tempo apparente; a un dato istante t della mia vita, poniamo che la durata apparente di un fenomeno campione sia λ(t) volte la sua durata reale:
dτ = λ(t) dt
Nel mio caso, credo che l'andamento di λ(t) sia pressappoco il seguente:
Ora supponi per semplicità che, per un certo intervallo di t (ad esempio t > 30 anni), λ(t) sia semplicemente inversamente proporzionale a t:
λ(t) ∝ t-1
Ne segue che
τ = ∫λ(t)dt ∼ ln t
e dunque
t ∼ eτ
Ecco la misura oggettiva della fugacità del tempo. Ecco il regolo della caducità del mio essere frale. Credevo che il mio tempo apparente τ scorresse lineare, sempre uguale a sé stesso, e che in fondo rappresentasse una buona approssimazione del tempo reale t. Ma mentre la tartaruga τ muove un passo, Achille t ne fa tre; e mentre la tartaruga ne avanza un altro, Achille ne ha allungati altri sei. Forse la morte è soltanto questo, l'infinito rallentamento della percezione. Forse λ(t) raggiunge lo zero in un tempo finito; il mio cronometro apparente si blocca mentre il mondo intorno continua a ticchettare. Forse sono immortale ed è solo l'accelerazione apparente della mia percezione che mi illude di morire. Lo stesso metronomo della mia vita,
λ(t)-1 ∝ t
accelera minaccioso secondo la percezione che ne ho:
λ(τ)-1 ∝ eτ
Ecco perché veglio ogni notte e freneticamente respingo la stanchezza. Non ho letto Proust. Non conosco il greco antico. Non so come si fabbrica la carta. Non conosco la storia del mio Paese. Non conosco il nome della capitale dello Yemen. Non parlo portoghese. Non so come si vesta la gente del Botswana. Non so cucinare la bagnacauda. Non so suonare uno strumento musicale. Non ho mai ascoltato Brahms. Non so da dove viene la massa del protone. Non so leggere l'alfabeto cirillico. E quante sono le cose che non so nemmeno di ignorare? Non ho tempo. Sfilo un altro libro vergine dalla pila alla mia sinistra. Prima che riuscirò a immaginare il domani, questo meriggio fu già passato in fretta.
Il tuo affezionato fratello,
Vincenzo Tenebra
Una sola brillante interlocuzione a proposito:
La chiosa di questa gibella mi ricorda una recente conversazione con una aRtiSSSta, una perfomer la quale presenterà un lavoro sull'infinito. (sic) In una conversazione preliminare ai tre minuti di intervista la tizia si apre e afferma. "Io sono ossessionata dal fatto che morirò senza sapere, ti rendi conto? Io glielo dico sempre ai religiosi: ma come potete accettare un Dio così crudele da lasciarvi morire senza SAPERE!!!!!". Glissando sull'imperfezione teologica di questa affermazione le ho risposto che forse "La conoscenZa non è l'unica metrica con cui misurare la vita, c'è altro...".
Lascio a te caro confratello l'elaborazione visuale dell'ironica situazione in cui l'artiSTa difende a spada tratta la ConoscenZA come unico valore della vita, e lo scinZiato le dice che forse ci si può anche concentrare sul magnare, bere, fottere, immergersi nel Mediterraneo in settembre etc etc.
Interloquisci (possibilmente brillantemente)!