Benché le folle e i media si scalmanino ad incensare lo stato di avanzamento delle democrazie occidentali e si industrino per propagandare la compiutezza e la perfezione della messa in essere dei diritti fondamentali dell'uomo, alcune menti elette non si lasciano abbindolare da frottole siffatte. Consideriamo, ad esempio, l'alfabetizzazione di massa: anche se all'occhio distratto dell'uomo della strada essa appare probabilmente come un passo irrinunciabile verso la creazione di una vera democrazia rappresentativa, essa ha in realtà spalancato le porte all'inquinamento irrimediabile della lingua e alla delirante proliferazione dei vari "stò", "fù", "fà", "quì", "sù" et similia; e non parlerò qui della nefasta copula con le moderne tecnologie delle telecomunicazioni, responsabile della nascita di "cmq", "xké", "nn", "ank", "belliximo" ecc.
Una lancia va tuttavia spezzata in favore di quegli esecrabili che fanno uso quotidiano di monosillabi scelleratamente accentati; non esiste un criterio logico per decidere dove porre l'accento. Pensate, ad esempio, al verbo "dare": perché si scrive "egli dà"? Ovviamente, per non confondere la voce verbale con la preposizione semplice "da". Ma perché dunque non si scrive anche "io dò", per evitare di confondersi con la nota musicale? Ho tanto la sensazione che le note musicali siano crudelmente bistrattate, in palese contraddizione con i principi di uguaglianza e tolleranza che ispirano la stessa alfabetizzazione di massa da cui abbiamo preso le mosse. Perché è sbagliato scrivere "il ré mì fà un regalo"?
Ecco allora che il vostro grammatico costruttivo preferito interviene a combattere le ingiustizie e ad appianare le disparità della lingua italiana. Il problema, se ci pensate un attimo, non è banale come sembra. Avrei potuto proporre una nuova regola: "la nota si scrive senza accento, ogni eventuale omografo si scrive con l'accento". Non l'ho fatto perché, per alcune note (la e si), sia la forma accentata che quella non accentata sono già impegnate: "la" (articolo) e "là" (avverbio); "si" (pronome) e "sì" (avverbio). Come uscire da questa impasse?
C'è probabilmente solo un modo per essere al sicuro: bisogna cambiare i nomi alle note. Che facciamo, dunque, adottiamo i nomi anglosassoni? Naaa. Molto meglio inventarsene di nuovi. Io propongo dunque la seguente nuova nomenclatura per le note musicali:
do | re | mi | fa | sol | la | si |
flo | ze | gni | pa | bol | ra | dri |
Provate a solfeggiare, adesso; anzi, provate a bolpeggiare. Riascoltate il famoso flo di petto di Pavarotti. È tutta un'altra musica.