Quando Bemolle riaprì gli occhi, tutto ciò che vide fu dell'intenso, vellutato colore nero. "Oh great, sono finito di nuovo nel carburatore della Y10", pensò con insopportabile autocommiserazione. Immediatamente, però, si accorse che non c'era il solito odore di benzina senza piombo, né i suoi arti sembravano essere costretti in pochi centimetri cubici; anzi, a mano a mano che i suoi plessi nervosi periferici abbandonavano la letargia che li aveva colti quand'era caduto come corpo morto cade, Bemolle prese gradualmente coscienza del fatto di giacere prono, a quattro di bastoni, su una superficie umida, dura e che sapeva di mattonella.
Con grande fatica, ma anche con grande soddisfazione (perché ogni cosa che costa grande sforzo, sudore, lacrime e, talvolta, sangue, se portata a compimento con successo, o almeno evitando tragici fallimenti, fornisce enorme gratificazione a colui – o colei – che, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l'acqua perigliosa e guata; oggi, insomma, è proprio giorno di citazioni dantesche), Bemolle raccolse le sue esigue forze e assunse finalmente una postura più degna dell'attributo di "bipede" conferito da svariate enciclopedie, siti web e altri Greatest Hits dello scibile umano, al genere Homo Sapiens Sapiens. Compito a casa per il lettore diligente: analisi logica e analisi del periodo di questo paragrafo.
Insomma, Bemolle: non perdiamo di vista il nostro gaio protagonista, mentre controlla l'integrità delle principali articolazioni del suo apparato locomotore. Ma com'è che si è ritrovato faccia a terra, nel suo vicolo, a pochi passi dalla sua tenda? Bemolle non rammentava nulla del suo trapasso. L'ultimo ricordo che conservava era l'odore della sua flatulenza frammisto a quello di trielina, e poi si era ritrovato con gli incisivi nel porfido. Che gli stesse tornando quella dannata narcolessia isterica? Eppure credeva di essersene liberato per sempre, grazie a quella formidabile dieta del peperoncino che aveva trovato su Donna Moderna... una vera panacea. Ma, evidentemente, non era bastata. Rassegnato, estrasse l'ennesimo jalapeño dalla tasca, lo addentò con determinazione e, masticando e lacrimando, si diresse verso la sua tenda, deciso a trascorrere almeno qualche ora sì privo di sensi, ma non a diretto contatto con il marciapiede.
Fu solo mentre apriva la lampo che si accorse dello scubidù per terra.
Questa gibella è stata pubblicata anche su La mandria pazza (cos'è?).