sabato 6 maggio 2006

La chiamata / 1

Dopo un'intera giornata passata a inseguire tovaglioli portati via dal vento, persino una mente congenitamente vessata e sottomessa come quella di Bemolle cominciava a mostrare i primi segni di cedimento, come attacchi fulminanti di nevralgia del trigemino, sporadici episodi di onicofagia acuta e un aumento misurabile della frequenza di scaccolamento. Come ogni giovedì sera, poi, si era fatto incastrare dai suoi vecchi amici del circolo di manomissione cancelli e aveva passato un paio di orette in compagnia di diverse paia di ascelle sudate, nascosto in un sottoscala ad aspettare che quei testardi operai della FAAC si rassegnassero all'apparente evidenza che la cellula fotoelettrica avesse trovato il modo di secernere spontaneamente frappè all'amarena. Ma nemmeno simili goliardie erano riuscite a distrarlo dalla vacuità del dì appena trascorso, neanche l'ottusità dei due muscolosi manovali, incapaci di accorgersi dell'inquietante verità gnoseologica a cui la secrezione zuccherina alludeva. Anzi, ciò che una volta lo avrebbe fatto sorridere ora gli procurava soltanto un fastidioso prurito.

Fu pertanto in questo umore spleen che Bemolle aprì la lampo della canadese quadriposto e si accomiatò dalla festosa compagnia che celebrava la felice riuscita dell'ennesimo atto di disobbedienza civile. I suoi piedi scalzi percepirono il freddo e l'umido del marciapiede, i capelli sulla nuca gli si rizzarono per lo sbalzo di temparatura e un brivido gli corse lungo la schiena, la gamba destra, il piede e di nuovo la gamba per poi attraversargli la vescica e arrestarsi in corrispondenza della sua maniglia dell'amore sinistra. I suoi occhi si stavano ormai abituando all'oscurità e poteva già distinguere la luce delle stelle e l'ombra netta proiettata dalla costellazione del Cucchiaio a Vapore, che lo avrebbe guidato senza fallo alla sicurtà del suo accogliente iglù da campeggio e al rassicurante ronzio del traliccio Ferdinando. In quanti dolci sonni si era lasciato cullare dal suo traliccio protettore! Bemolle sentiva davvero che era diventato impossibile farne a meno, che aveva ormai sviluppato una completa assuefazione alle sue frequenze acustiche. Peraltro, era in qualche modo sicuro che anche il traliccio provasse sentimenti simili verso di lui.

Bemolle giunse nei pressi della tenda quando ormai già si intravedevano le prime luci dell'alba. A circa dieci passi si fermò, fece una scorreggia, fischiettò le prime note di "Minor Swing" e subito si accorse che c'era qualcosa che non andava. Il vicolo era stranamente silenzioso, l'odore di trielina era più intenso e, tra l'altro, aveva dimenticato i pantaloni alla festa; ma, soprattutto, c'era un uomo calvo, di carnagione scura, che sedeva a gambe raccolte accanto alla tenda mentre intrecciava con nonchalance uno scubidù. Indossava semplicemente una maglietta e dei pantaloncini, i cui colori sarebbero ben descritti come l'equivalente cromatico di un gatto col mal di pancia che miagola mentre raspa freneticamente con le quattro zampe su una lavagna.

Bemolle fece tre passi avanti e l'uomo finalmente lo notò, volse lo sguardo su di lui e con maestosa lentezza si erse in tutta la sua modesta statura.

Questa gibella è stata pubblicata anche su La mandria pazza (cos'è?).

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