lunedì 23 giugno 2008

Il dinosauro / 1

Bemolle cominciava a pentirsi del fatto di essersi allacciato il mocassino quella mattina. Se non si fosse fermato, non avrebbe trovato il gabinetto occupato da quel bellimbusto odoroso di Oro Saiwa che, ahilui, aveva approfittato di pochi passi di vantaggio per frapporsi tra Bemolle e la soddisfazione di alcune sue impellenze. Se fosse acceduto alla ritirata quando sperava di farlo, sicuramente non avrebbe avuto necessità di solfeggiare melodie baritonali con il suo colon irritato; e se non avesse ceduto alle lusinghe della sua flautolenza, difficilmente le altre persone in fila lo avrebbero coscienziosamente percosso fino a costringerlo alla fuga (anche se non si può mai dire).

Se non avesse avuto bisogno di correre, probabilmente non si sarebbe slogato un'altra volta quel maledetto premolare, compromettendo la funzionalità della sua manducazione; e se non fosse andato alla ricerca di un pizzicagnolo per acquistare del semolino, se non avesse chiesto indicazioni a quel tombino, se non si fosse fidato del tombino, se non fosse salito su quel treno merci... Bemolle vedeva ora chiaramente il disegno soprannaturale che si celava dietro le avventure della mattinata; gli sembrava quasi di sentire il tocco impalpabile di una Mano trascendente che con calcolata maestria gli scioglieva il laccio del mocassino e metteva in moto l'inarrestabile carambola di eventi che lo avrebbe confinato per ore tra alcune centinaia di barili di colorante E124 "Rosso cocciniglia A".

Sequenze simili di occasioni mancate e ipotesi non soddisfatte possono avere luogo solo in sdolcinati drammi d'amore elisabettiani; una concatenazione tanto palese di cause ed effetti, rifletteva Bemolle, apparterrebbe più alla letteratura che alla realtà. Eppure, eccolo lì a lasciarsi cullare dai giunti di dilatazione dei binari, consapevolmente rassegnato (o abituato?) all'impossibilità di dare forma propria alla materia fluida della sua esistenza. Ecco, forse, a cosa pensava Bemolle, le gambe contro il petto, la testa tra le ginocchia, la fronte aggrottata in uno sforzo di concentrazione. Oppure, più verosimilmente, egli si contava le unghie dei piedi.

Nella penombra del vagone ferroviario, Bemolle sonnecchiava esausto dopo gli sforzi dell'intensa giornata e abbandonava le sue cervella all'immaginifica intercapedine tra sonno e veglia, dove gli attaccapanni si trasformano in acquedotti e le spalliere delle sedie in giaguari accucciati con una zampa alzata e un grosso telefono cellulare primi anni '90 tra le fauci. In questo mondo di metamorfosi può accadere di tutto; persino nulla.

Difatti, non accadde nulla. Quando Bemolle si risvegliò il treno era fermo, il portellone del vagone aperto, e dei muscolosi energumeni allineavano i barili di colorante in ordinati schieramenti a favo d'ape. Quale affascinante simmetria, si disse Bemolle avvicinandosi rapito, e fu tentato di lambiccarsi il cervello per intuire quale gruppo la descrivesse matematicamente; ma le sue pippe mentali furono interrotte da un improvviso clangore. Uno dei barili si era rovesciato, rompendo spontaneamente la simmetria esistente.

Nessuno si è ancora degnato di interloquire a proposito.