lunedì 29 dicembre 2008

Solo

Fu negli anni della prima maturità che il tenente Tenebra si accorse per la prima volta delle diserzioni dei suoi colleghi. Dapprincipio non vedeva alcuna sistematicità nei casi che gli si presentavano e che la sua interpretazione del reale manteneva scorrelati e isolati. Si diceva che a tutti dovevano capitare delle esperienze del genere dopo alcuni anni di carriera; con tutti i giovani poliziotti che Tenebra conosceva e con i quali era cresciuto, era pur normale che tra di essi ci fosse qualcuno che aveva perso la vocazione o che scopriva tardivamente di non averla mai avuta: era una questione di statistica di Poisson, e Tenebra corroborava la sua tesi approfittando di dati ministeriali e delle reminiscenze di matematica di base dai tempi dell'accademia.

Ma le defezioni diventavano sempre più frequenti con gli avanzamenti di carriera: i capitani disertavano più dei tenenti, i tenenti più dei marescialli e i marescialli più dei sergenti. Ben presto l'anzianità di servizio di Tenebra gli rese impossibile continuare a ignorare l'evidenza delle cose. Quando anche uno dei suoi compagni di accademia, uno dei suoi amici più cari, voltò le spalle alla giustizia, il tenente ne fu toccato profondamente. Con amarezza ammise che le coincidenze esistono soltanto nella vita degli altri e improvvisamente si accorse che la differenza tra capire e conoscere lo costringeva a riconoscere la causa del ricorrere delle diserzioni.

Il contatto prolungato con il crimine ci corrompe, scriveva nelle sue memorie un Tenebra intriso di echi nietzscheani, più a lungo combattiamo il male, più siamo costretti a metterci in gioco. Impariamo a conoscere il nostro nemico, gli diamo un volto e una voce, riconosciamo il suono dei passi, le movenze abituali, i difetti e gli errori. Alcuni si illudono di poter commettere il crimine perfetto, di aver imparato tutto dai propri avversari e si lasciano trascinare dalla velleità dell'emulazione; ma non si tratta che di pochi casi isolati. La maggior parte dei disertori sono persone integerrime. La lotta al male li assorbe completamente e li circonda di malviventi, assassini e canaglie di ogni specie. Il crimine diventa parte della loro vita. Ho notato che per molti la caduta non ha un vero e proprio inizio ma evolve in maniera continua, dai favori fatti agli informatori alle indulgenze promesse ai pesci piccoli; e dall'indulgenza si scivola inconsapevolmente nella complicità. Dal momento in cui il crimine assume la forma umana del nostro compagno, come possiamo continuare a combatterlo? Un principio non vale un'amicizia.

Qual è il vero tradimento? Quello verso i princìpi o quello verso le persone che amiamo?

Questa è una domanda alla quale credevo di saper rispondere, ma ora inizio a dubitarne. Ho paura di continuare la mia guerra, ho paura di perderci me stesso; eppure devo scegliere. La domanda mi si pone oggi con una perentorietà senza precedenti, direi quasi con violenza; ma qualunque cosa scelga, ne soffrirò. Forse potrei cedere di un'unghia per avvicinarmi ai miei colleghi, cercare di capirli meglio, e forse finirei anche per trarne beneficio nella mia lotta contro il crimine; ma lo vivrei come un tradimento verso la Giustizia. E non ho forse già ceduto innumerevoli volte?

No. Non posso permettermi altre debolezze. Non so se sarò in grado di resistere per sempre, ma un abbandono è tanto più colpevole quanto più tardi esso avviene, perché siamo sempre di meno a condividere la responsabilità della lotta al male ogni giorno che passa. La guerra deve continuare, e io devo continuare a combattere. Combatterò.

Solo.

mercoledì 24 dicembre 2008

Ué ué

In quale luogo della Terra mi trovo se ho assistito alle due conversazioni seguenti a distanza di pochi minuti?


(Alla cassa del bar.)

Ragazza:Scusi, per andare in bagno cosa devo fare? [sic]
Cassiere:Allora, lei vede il bancone? Lo segua e esca dalla porta dall'altro lato del bar. Una volta fuori si gira su sé stessa e vede un'altra porta, lei la apre con questa chiave (le dà la chiave), entra nel corridoio, alla fine del corridoio c'è un'altra porta, lei la apre con l'altra chiave, entra in un altro corridoio, va a sinistra, sale le scale, al piano di sopra c'è una porta a soffietto e dietro la porta a soffietto c'è il bagno.
Io:Nientedimeno? E vvuje accussì l'avite mannata ô bbagno a Mmarechiaro!


(Al bar. Una ragazza ruspantella si lamenta con le amiche della gelosia del fidanzato.)

Ragazza:Perché poi lui è uscito con le sue amiche nude, ci stanno le foto! Se uscivo io nuda con i miei amici, spacciati cielo!

giovedì 18 dicembre 2008

Letterina al Bambino Ggiesù

Caro Bambinello,

È di nuovo dicembre, e anche quest'anno, come ogni anno, non sono morto. La cosa mi comincia a innervosire, specie quando mi ritrovo per strada travolto da folle scalmanate e ansiose di convertire la tredicesima in pezze, scarpe o pensierini. Sono tre settimane che giro per casa in ciabatte da mare, non perché mi si sia rotto il termostato del riscaldamento ma perché ho rotto le mie pantofole vecchie e non riesco a restare in centro abbastanza a lungo per comprare quelle nuove. L'ultima volta che ci ho provato il mio super-io se l'è vista davvero brutta quando mi sono avvicinato con la vescica rigonfia all'albero di Natale di H&M.

Da allora esco di casa solo bendato e con i tappi nelle orecchie. Il lato positivo è che evito la visione dello scempio consumistico e sfuggo all'ipnotico bombardamento di canzoncine da Edenlandia1; il lato negativo è che sto sempre con le ciabatte da mare e dubito che le pantofole mi vengano a cercare spontaneamente.

Tuttavia, caro Bambinello, non ti scrivo per chiederti un paio di pantofole; a quello penserà mia mamma. C'è un'altra questione che mi sta a cuore, ed è ben più importante.

A dicembre, caro Bambinello, io starei rotto di cazzo già se non ci fosse il Natale, per il solo fatto che le ore di luce diurna sono al minimo; figurati con il Natale (no offence meant). Naturalmente, il mio atteggiamento disdegnoso viene spesso stigmatizzato dagli idolatri dell'atmosfera natalizia, quegli invasati che sembrano sotto Prozac da Ognissanti a San Silvestro, che si eccitano guardando i pisellini dell'albero di Natale che si accendono e si spengono nella stanza accanto e che ogni tanto vanno alla messa di mezzanotte e/o guardano il concerto di Natale in Vaticano alla TV. Codesti figuri, caro Bambinello, pensano che a Natale dobbiamo essere tutti felici, anche se è morto il cardillo, anche se sei denutrito, ti bombardano la casa e della tua guerra nessuno sa niente. Allora (a) mi perseguitano nel tentativo di risvegliare il mio spirito natalizio perduto, e (b) poiché a Natale siamo tutti più buoni, danno cinquanta euro in beneficenza; così, con la coscienza a posto, ne possono consacrare cinquecento, nell'immediato, e una cifra imprecisata, per tutta la durata dell'anno nuovo, a borse di Gucci, pullover di Pierre Cardin e altre rappresentazioni immanenti dell'idea del Futile.

Ecco, caro Bambinello, quello che vorrei chiederti quest'anno è di fulminarli tutti.

Con cordiale affetto e immutata stima,

Davide       


1 Io vorrei sapere in particolare chi è il deficiente che ha scritto quella canzone2 che fa

Feliz Navidad (x3)
Prospero año y felicidad
I want to wish you a merry Christmas (x3)
From the bottom of my heart

(Ripetere una sessantina di volte, salendo di un tono di tanto in tanto.) Per favore, qualcuno spieghi a questo tizio che esistono anche gli accordi minori. ^

2 Secondo Wikipedia, trattasi di Feliz Navidad3 di José Feliciano, cantante e musicista portoricano (sordo). E in quale Paese questa canzone cerebrolesa va fortissimo?

Feliciano's version of "Feliz Navidad" [...] is one of the most downloaded and aired Christmas songs in the United States and Canada.

Once again, tout se tient. ^

3 Come avrò fatto a scoprire il titolo della canzone? ^

mercoledì 3 dicembre 2008

Luttazzinger

L'altro giorno mi scervellavo cercando di immaginare un analogo classico del meccanismo di Higgs e improvvisamente mi è venuto in mente Daniele Luttazzi. Che c'entra? Vai a saperlo. È innegabile però che sia un buon incipit. "Che fine ha fatto Luttazzi?", mi sono chiesto. Vuoi vedere che si è fatto arrestare? Vuoi vedere che lo hanno mandato a Sant'Elena? Vuoi vedere che si è aperto un bar a Capo Verde? La questione meritava di essere approfondita, soprattutto se paragonata alla faccenda del bosone. Allora ho sguinzagliato il mio commando di cardilli indiscreti e nel giro di un frullar d'ali ho scoperto la verità.

Luttazzi è stato assunto dal papa come ghostwriter. Cioè, il papa ci mette la faccia e Luttazzi la penna: Luttazzi gli scrive di nascosto le filippiche per l'Angelus della domenica, le omelie per la messa a San Pietro e i discorsi da fare nelle università italiane, il papa dice che ha scritto tutto lui e ci fa bella figura. Luttazzi è succeduto nell'ufficio di Gran Scribacchino Pontificio (questo il titolo ufficiale) ad un Rottweiler di nome Jürgen che il Signore ha prematuramente chiamato accanto a sé, probabilmente per farsi sorvegliare il garage. Il Rottweiler però era stato addestrato a scrivere soltanto in tedesco e finiva sempre che dovevano usare Babelfish per tradurre i testi in italiano. Ruini ne ha parlato a lungo con Ratzinger e alla fine è riuscito a convincerlo a prendere Luttazzi, ma soltanto a malincuore. Il pontefice, comunque, si fidava di più del Rottweiler. Luttazzi, pure.

Da quando Luttazzi lavora per il papa, la popolarità del clero è in netta risalita, dopo anni e anni di tracollo causati da quel papa pallosissimo che andava in pigiama alle feste. Ora, invece, quando guardo il TG1 delle otto (il quale, per chi ancora non ci avesse fatto caso, parla del papa ogni sera — io ne ho preso coscienza al ritorno dai primi mesi di vita all'estero) e scopro che il papa ha detto un'altra cazzata, mi faccio una bella risata e recito una preghierina di ringraziamento alla Divina Provvidenza e ai piani imperscrutabili hanno anticipato il congiungimento del buon Jürgen con le schiere celesti. Il successo di Luttazzi è stato tale che Ratzinger è stato costretto a prestarne i servigi ai suoi amici prelati. Un occhio attento non faticherà infatti a riconoscere la mano esperta di un comico navigato come Luttazzi nel surrealismo di certe battute episcopali o cardinalizie.

Il caso più recente è descritto in questo articolo, dove si legge:

È scontro tra ONU e Vaticano. La Santa Sede boccia, con decisione, il progetto di una depenalizzazione universale dell'omosessualità. Un'iniziativa presa dalla presidenza di turno francese dell'Unione Europea, e accolta da tutti i 27 Paesi della UE.

Fin qui niente di speciale. Ma ecco che Luttazzi si tradisce nelle parole dell'arcivescovo Celestino Migliore (un nome, una carriera):

Immediato il "no" della Santa Sede: "Gli stati che non riconoscono l'unione tra persone dello stesso sesso come 'matrimonio' — dice monsignor Celestino Migliore — verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni".

Lo so, non si capisce subito, ma è proprio per questo che è una grande vetta della comicità. Sarebbe un po' come dire che l'abolizione della pena di morte equivale dunque a "mettere alla gogna" Cina e Stati Uniti; ergo, non possiamo abolire la pena di morte. Che dire? Chapeau. Già ci sarebbe da spiegare al mondo che ci fa un arcivescovo alle Nazioni Unite, dato che sembra l'inizio di una barzelletta ("allora, c'è un arcivescovo alle Nazioni Unite..."), ma uscirsene con una battuta del genere è un virtuosismo degno di un genio della risata.

(Luttazzi! Se mi leggi, inserisci il brano di quell'articolo in un tuo spettacolo come se fosse una delle tue notizie!)

domenica 30 novembre 2008

El idioma cuécuero

Proseguiamo la nostra carrellata di invettive contro le lingue europee. Oggi tocca a quei ripetenti degli spagnoli (ma ti faccio vedere che ci faccio entrare pure i francesi alla fine).

Devo riconoscere anzitutto che gli spagnoli non mi sono mai stati troppo simpatici. Anzitutto, quando parlano con la gente dovrebbero avere la crianza di togliersi la zeppola di bocca. Esempio:

La pa neesita y meree tiempo, neesita y meree prudenia, neesita y meree paienia después de más de treinta años de terrorismo, de violenia.

José Luis Rodrígue apatero

Inoltre, lo spagnolo è l'equivalente linguistico della musica techno, un tunz-tunz assolutamente privo di melodia. Voi che adorate lo spagnolo perché "è una lingua così musicale!", sappiate che è la lingua con meno vocali che io conosca (cinque, mentre in italiano sono sette, in francese una quindicina e in svedese tra diciotto e ventidue a seconda del dialetto...) ed è anche quella in cui tutte le sillabe hanno e-sa-ta-men-te la ste-sa lun-ghe-za (in italiano gli accenti tonici e le consonanti doppie allungano o accorciano alcune delle vocali). Insomma, sono quequeri. Ecco a cosa penso quando sento qualcuno parlare spagnolo:

D'accordo, nessuno è perfetto. Sicuramente in questo stesso momento ci sarà uno spagnolo che pensa le stesse cose dell'italiano e che sta riempiendo il suo pluio di improperi contro la pizza, il mandolino e 'a tazzulella 'e cafè.

Lasciamolo fare. Almeno NOI guardavamo Supercar, Charlie's angels e Airwolf e non El coche fantastico, Los ángeles de Charlie e El lobo del aire! Negli stessi anni, per inciso, i francesi guardavano K 2000, Drôles de dames (!), e Supercopter (!!!), per non parlare di Agence tous risques (vi lascio il piacere di scoprire cos'è).

Ma soprattutto, NOI non abbiamo mischiato le sigle dei cartoni animati!

Dopo un'infanzia del genere, che ti aspetti dai poveri spagnoli?

mercoledì 5 novembre 2008

Random walk / 3

"Se solo avessi avuto con me un condensatore elettrolitico", pensò Bemolle con irritazione mentre abbandonava sconfitto le pendici del monte e, con esse, la speranza dell'altezza. Assorbito da simili considerazioni e ricacciato nel fosco boschetto, dove ombre insostanziali di rami e foglie che stormivano al vento emergevano dalla quiete della notte e riempivano la sua visione periferica di immagini di rami e foglie che stormivano al vento, Bemolle non si accorse di un'insolita sequenza di gibigiane; e tà! si ritrovò a fianco un tizio dall'aria decisamente equivoca.

— E lei chi è?
— Ma guardi, sono uno... sono del Nord ma ho girato parecchio, ho vissuto un po' qui e un po' lì, ho fatto un po' questo e un po' quello...
— È un indovinello?
— Sì. Cioè, no. Magari dopo.
— E perché si è cinto il capo di una fronda di basilico?
— Mi piace l'odore.
— Davvero?
— No.
— Ah.
— No, perché poi quando viene il cane ti faccio vedere, eh.
— Quale cane?
— Non saprei.
— Forse il lupo.
— Antipatico, eh?
— Molto.
— Sarebbe bello salire sul colle...
— Eh.
— ...e rotolare giù.
— Alla faccia del lupo.
— Esatto.
— Esatto.
— Ma c'è il lupo.
— Già.
— Però...
— Però?
— Si può fare il giro.
— Che giro?
— Cioè, invece di salire per il sentiero, scendiamo sotto terra, usciamo dall'altra parte del pianeta, scaliamo una montagna e ci siamo.
— Come ho fatto a non pensarci!
— Andiamo?
— Andiamo.

Il tipo si mosse, e Bemolle gli tenne dietro.

martedì 4 novembre 2008

Random walk / 2

Il proclivio del colle era davvero invitante, non foss'altro che per il fatto di essere un proclivio. Bemolle collocò mentalmente la bella parola accanto a vasellame e periplo, tra le altre, e si concesse alcuni minuti di godereccia contemplazione della sua collezione; infine si diresse rinfrancato verso il sentiero che conduceva su per la collina. Lo aveva colto l'idea che, se fosse riuscito ad arrampicarsi fino in cima, da lassù avrebbe potuto scendere rotolando sull'erba.

Ahilui, la sua aspirazione fu presto frustrata dalla comparsa subitanea di un agile giaguaro che sbucò da un cespuglio di ossicocchi. Bemolle ruppe il passo e cercò di soppesare le intenzioni della fiera che gli si parava innanzi... minacciosamente, dirà il lettore. Ebbene, il giaguaro aveva piuttosto l'aria annoiata di chi ha passato tutto il pomeriggio sotto il sole a risolvere sudoku. A Bemolle comunque non parve giusto impicciarsi dei passatempi del giaguaro and tried to sidestep her nonchalantly; ma il giaguaro replicava i suoi movimenti passo per passo e gli impediva di proseguire il cammino.

"Drat", si disse Bemolle mettendosi un dito nell'orecchio. Il giaguaro lo imitò. Bemolle provò a offrirgli mentine per l'alito dolci, medie, forti e molto forti; gli recitò a memoria la quarta ecloga di Virgilio; tentò di convincerlo a salire con lui; cercò di affabularlo promettendogli imprecisati favori grazie a conoscenze influenti; gli mostrò le foto di quando da piccolo si rotolava nel fango; ma il giaguaro, a parte qualche grugnito di approvazione per le foto, rimase irremovibile dal suo proposito. Anzi si portò una zampa al muso e fischiò; le fronde dell'ossicocco si mossero e ne apparve un grosso leone dall'aria vagamente annoiata.

— Ho messo un sei, disse al giaguaro; ma questi fit semblant con albagia di non aver sentito e gli indicò invece le foto di Bemolle. Il leone drizzò le orecchie incuriosito. Le pose del buon Bemolle suscitavano un innegabile interesse presso i due quadrupedi e probabilmente rappresentavano un piacevole diversivo in un pomeriggio (o forse un'intera esistenza) di giochi enigmistici, allegorie e simbolismi; e poiché gli accadimenti insoliti non hanno bisogno di essere trasmessi a mezzo carta stampata, fu soltanto di lì a poco ai due felini si aggiunse un lupo dall'andatura ciondolante e visibilmente annoiata.

Alla vista del canide il leone immediatamente si irrigidì. Il lupo lo guardò di traverso, gli assestò uno scappellotto e gli intimò aggressivamente di tagliarsi i capelli. Il leone non nascose la sua vessazione e si allontanò con la proverbiale coda tra le gambe, seguito a poche zampate di distanza dal giaguaro; Bemolle (con gran delicatezza) aveva distolto lo sguardo dall'umiliazione del leone e aveva finito per trovarsi faccia a muso con quel prepotente del lupo dallo sguardo severo.

Ma le foto erano davvero irresistibili. Il lupo le osservò dapprima di sottecchi, con la coda dell'occhio. Bemolle gli fece notare che le chimere possono anche osservare con l'occhio della coda e il lupo parve positivamente impressionato; per cui questi si diede a sfogliare le foto con crescente attenzione, chiese lumi su qualche particolare e eventually annuì soddisfatto e concesse persino una pacca sulla spalla al nostro amico quadrioculato.

— Posso salire, allora?
Il lupo parve preso alla sprovvista.
— Ehmmmmm, disse mentre ponderava. Poi scosse il capo.

lunedì 3 novembre 2008

Random walk / 1

Bemolle s'era perso. Lo sguardo che saetta a 4π, il dito indice apposto al labbro inferiore e l'emissione continuata del suono "öööö" sono solo alcuni dei tratti comportamentali che permettono la sicura identificazione di colui che ha smarrito la via. Inoltre non è che ci fosse granché da fare in quel bosco, a parte perdersi, of course; Bemolle, in mancanza d'altro, vi si era dedicato con grande zelo, perché non era certo il tipo che faceva le cose a metà o tanto per fare: e così, oltre ad essersi inoltrato ben bene, aveva anche dimenticato come era finito in quel postaccio buio, umido e vagamente reminiscente del sifone del lavello.

Neanche la sua vasta conoscenza in materia di astronomia gli permetteva di orientarsi: il cielo era quasi completamente coperto e le poche stelline che ammiccavano ora qui, ora lì, potevano appartenere tanto al Baco da Seta quanto al Portamonete; e poi, a che vale sapere in che direzione si va se non si sa se è quella giusta? Tali erano le considerazioni che impegnavano il nostro eroe while he slowly, gloomily, unawarely and inexorably diffused away from wherever he was coming from.

Bemolle si era ormai allontanato di una distanza proporzionale alla radice quadrata del tempo trascorso nella selva quando, attraverso il fitto fogliame, intravide il contorno di una grossa mongolfiera.

— Äntligen, si disse — era ora che succedesse qualcosa in questa storia. Così, deciso a ravvivare la trama che languiva, rimpiazzò il suo incedere stocastico con una deterministica volontà di raggiungere il pallone aerostatico.

A circa un miglio di distanza Bemolle si accorse però che non si trattava di una mongolfiera, bensì di un enorme cranio di scimmia. Mezza versta dopo si corresse: era proprio una gigantografia della copertina di Led Zeppelin 1. A pochi furlong gli parve un cartello di divieto di transito per veicoli a braccia, poi una cuffia da doccia, poi una delle lune di Saturno, poi una Coppa del Nonno rovesciata, poi forse no, forse era davvero una mongolfiera. Solo quando la sua visuale fu sgombra da ogni impedimento, cioè quando la sua immaginazione fu sopraffatta dall'evidenza della percezione Bemolle si rese conto che si trattava di un colle illuminato dai raggi del sole alto nel cielo.

"Ma dove caspiterina era il sole mentre ero nel bosco?". Bemolle si volse a retro a rimirare la foresta ancora imbevuta d'oscurità notturna, guardò il colle in pieno sole, fece due rapidi calcoli mentali, trasse delle interessanti conclusioni sul diametro del pianeta e, perplesso, fece spallucce.

lunedì 13 ottobre 2008

L'uomo con il baccalà

Uno che decide di spararsi un romanzo pisicologico di duemila pagine, per giunta incompiuto, tedesco e modernista, ha poi il diritto di lamentarsi di essersi fatto una uallera tanta? Nell'intimità della mia coscienza so benissimo che è colpa mia, ma d'altra parte non avevo scelta; avrei forse dovuto lasciare il libro a metà, quando già una volta lo avevo abbandonato a pagina novantasette? Thou shalt alwayes complete thy readings. È una questione di deontologia. La speranza segreta è che se io non lascio nessuna lettura a metà, anche chi legge questo pluzio farà altrettanto. (Povero me.)

Faccio un breve riassunto dell'avvincente trama del romanzo. Un tizio abita a Vienna (pagina 300). Gli muore il padre (pagina 700). Torna a casa del padre e, dopo anni di separazione, rivede la sorella (pagina 750, questa parte è ricca d'azione). Si innamora della sorella (pagina 850). La sorella va a vivere da lui, ma invece di trombare — cosa che avrebbe creato numerosi spunti tragici, magari un po' triti, ma sempre piccantelli — i due si fanno mille pagine di pippe mentali sul tema "ma questo sentimento che proviamo l'uno per l'altro, vuoi vedere che è amore nel senso che è amore universale come quello che bisognerebbe provare per qualunque altro essere umano (anche se non ci è ben chiaro perché si dovrebbe amare qualcuno che non si conosce)?" (pagina 1800).

Va detto che il romanzo è incompiuto perché il tizio è morto prima di riuscire a completarlo; io però che capisco e conosco so anche che è stata la pallosità stessa della sua prosa a ucciderlo. Ci stavo per rimanere io, figuriamoci lui. (Notare che l'Autore ha il nome di un taglio di baccalà. Il baccalà, si sa, non è rinomato per la sua conversazione brillante.)

Musil:Madonna, che due palle questo capitolo che ho scritto. Fammelo rileggere un attimo.

(Rilegge.)

Musil:Agh.

(Muore.)

Ed ecco il passo più esaltante di questo fantastico polpettone.

[Fratello e sorella guardano il mare.] Quell'immensa distesa era... un po' noiosa. La responsabilità per il minimo gesto — dovettero confessarlo — era alquanto vuota [?], se paragonata alla giocondità delle ore in cui non si imponevano simili esigenze [ma quali?], e i corpi giocavano con l'anima come bei giovani animali con una palla di legno che fanno rotolare qua e là [?].

Un giorno [attenzione che questa è veramente potente] Anders disse: — È vasto e pastorale; fa pensare a un pastore d'anime! [?] — Risero [???]. Poi si spaventarono dello scherno rivolto contro se stessi [!!!].

Mi sarei tanto voluto vedere dall'esterno mentre leggevo, seduto in autobus, circondato dai miei amici punti interrogativi.

venerdì 3 ottobre 2008

Paremiologia

Breve analisi critica di quattro pietre angolari del nostro vivere quotidiano.


Chi dorme non piglia pesci: falso.

Il momento migliore per prendere i pesci è in realtà proprio poco prima di addormentarsi, quando si è molto stanchi e la palpebra pesante tramonta spontaneamente. Certo, la sonnolenza da sola non basta; i pesci però non lo sanno e si lasciano spesso turbare dalla sonnolenza perché la scambiano per una turbolenza, una di quelle acquatiche, a loro tanto familiari. Per andare sul sicuro, comunque, alla sonnolenza vanno attaccati tre piccoli vermetti (una tresca) o un ragazzotto dai capelli ricci, bello 'e faccia e bello 'e core (...).


L'abito non fa il monaco: vero.

Caso mai è il monaco che fa l'abito. Sono numerosi gli ordini monastici che si sono dedicati alla produzione tessile; ad esempio, gli sparatrappisti.


Dio vede e provvede: vero.

Dio, per intenderci, sarebbe quel tizio con la barba. È noto anche per essere il creatore dell'Universo, nonché come il padre di suo figlio (Dio crea e procrea). È capace di sanare ogni malattia e non ci fa mai mancare niente (Dio cura e procura). Si dà tanto da fare per salvarci, tanto che ha fatto tutto l'Universo solo per noi (Dio duce e produce). A volte è un po' esigente ma non manca mai di fare i suoi ingressi trionfali (Dio rompe e prorompe). Non è mai soddisfatto dei suoi piani (Dio getta e progetta). Presiede allo svolgersi naturale del ciclo dell'acqua e concede l'indulgenza ai peccatori (Dio scioglie e proscioglie). Nel miglior stile Easy Rider, sgasa al semaforo sulla sua Harley-Davidson (Dio pelle e propelle). Anche se non ha mai fatto una cosa, ci si mette senza esitazione (Dio va e prova).

Il giorno del Giudizio, però, si comporterà con grande severità e persino con un po' di cattiveria (...).


Non c'è due senza tre: falso.

Guarda qua: 2222222222222222222 22222222 22222 2222222222222222 222222 2222 22222222 2222222 22222 222 22 2222222 2 22222 22222 22 2 222222222 222222 2 2222222222222222222 22 22 2222222222 22 2222222 2222222 222 2 22222222222 22222222 22 2 22222 2222222 22222222 222 2 2 2 22 2 2 2222222 22222 2. Tutti senza 3.

...

Oui, je suis Catherine Deneuve

Come questo pluzio dimostra chiaramente, non sono affatto il tipo che parla a vanvera, anzi. Se dico qualcosa è perché sono ben informato dei fatti; d'altronde è da quando sono diventato scinziato che mi hanno fatto il lavaggio del cervello e ora sono convinto che la conoscenza si basa sul risultato dell'esperimento, basta che non lo facciano fare a me. Insomma, ora ho finalmente raccolto abbastanza prove e finalmente, senza paura di smentite o confutazioni, posso serenamente affermare che

il francese è una lingua per checche isteriche.

Intendiamoci, non è che io abbia qualcosa contro le checche isteriche (un personaggio divertentissimo di tanti telefilm ammericani); è più che ho qualcosa contro i francesi. L'illuminazione mi è venuta qualche giorno fa, a Pavigi, quando ho visto la pubblicità del prossimo torneo di Bercy: un cartellone pubblicitario sei metri per tre con un Rafael Nadal dal bicipite ipertrofico che prende ferocemente a pallate un avversario non precisato, ma senz'altro degno della nostra compassione.

E che ci hanno scritto i Francesi?

Rattrape-la si tu peux?! (Se non sapete come si pronuncia, basta leggerlo in italiano con la voce della checca isterica di Will & Grace.) Dunque è questo che Nadal urla al suo avversario secondo i francesini; per riscontro, in napoletano in situazioni simili si dice tipicamente MAGNATI CHESTA!, AMMOCCATI STA CRESOMMOLA! o PARA PURTIE'!. Poi mi sono ricordato che la parola tennis viene dal francese tenez !, tenga!, che a quanto pare era ciò che si diceva all'avversario per avvertirlo che si era in procinto di riprendere il gioco (cfr. napoletano PALLAAAAAA!).

Insomma, qui ho cominciato a immaginarmi i francesini che giocano a tennis; poi sono andato su Tutubo e ho visto ciò che avevo immaginato.

Notare che il primo tipo è belga (parlerà francese), e il secondo tipo ha fatto un anno e mezzo di Grenoble. Coincidenze? Io dico di no.

In realtà è evidente che la colpa è della lingua. Se non fosse per quel ridicolo trattino, per la mancata ellissi del soggetto, per il suono della u e per la posizione in cui ti restano le labbra se dici peux, quella frase forse sarebbe quasi adatta a Giochi senza Frontiere1; così com'è, è roba da boy-scout.

Ma la portata del problema è ben più vasta. Prendiamo una parola francese a caso: chiffon. Cosa significherà? Si tratta senza dubbio di una stoffa pregiata, ma sarà seta? Lino? Cotone? Raso? L'amara verità è che chiffon vuol dire panno, pezza, cencio, strofinaccio, canovaccio o mappina, ma visto che ha questo suono così da checca isterica gli italiani credono che sia un velo sottile e trasparente. Torchon? Una collana attorcigliata, o forse uno straccio per pulire per terra2?

Ma soprattutto, eau de toilette: un profumo seducente, o forse forse l'acqua del cesso?


1 E in che lingua parlava l'arbitro di Giochi senza Frontiere? In francese.
2 Almeno in Belgio. In Francia significa anche lui strofinaccio.

mercoledì 10 settembre 2008

La banda del buco

Lo avrete letto su tutti i giornali: siamo alla vigilia dell'inaugurazione del più grande acceleracosi del mondo e a pochi giorni dalla distruzione della Terra ad opera del primo buco nero artificiale. Vorrei celebrare l'evento raccontando anch'io qualcosa su quei personaggi che hanno lavorato sodo per ottenere questo spettacolare risultato e che presto verranno linciati da folle inferocite.

Al di fuori del circolo degli adepti ai lavori sono davvero in pochi a sapere quanto abbiano in comune congressi internazionali di esimi scinziati e falò sulla spiaggia di diciassettenni in fregola. Io che ho partecipato a questi e a quelli vi svelerò il segreto: in ambo i casi, ci si va per trombare, per farsi trombare, o quanto meno per ubriacarsi. Pregherei i lettori adusi alla prassi accademica di integrare il principio generale testé enunciato con l'esemplificazione della loro esperienza personale, possibilmente in forma anonima, in calce a questa gibella.

Il profano positivista si sentirà probabilmente a disagio all'idea che il futuro della scienza e della tecnologia occidentale, nonché quello del suo iPhone e della Playstation, riposino in grembo ad alcoolizzati sessualmente inappagati. "Perdindirindina," egli si dirà, "c'è una bella differenza tra una conferenza di fisica e un convegno amoroso di adolescenti: alla conferenza si va per ascoltare degli interessanti seminari!".

Il povero illuso. Anzitutto, del futuro della scienza, della tecnologia, dell'iPhone e della Playstation da domani risponderà un buco nero piuttosto incazzoso. E in ogni caso, no, gli scinziati non fanno i seminari per darsi un tono e fare finta di avere un ottimo motivo per andare alle conferenze; nell'ambiente lo sanno tutti qual è il vero motivo, nessuno ne fa mistero. Ce lo si dice in faccia. Perché, ordunque, gli scinziati si costringono a scoglionarsi dalle 8:30 alle 12:30 e dalle 13:30 alle 18:30 organizzando interminabili sessioni di farneticamenti?

È semplice. Per fare un falò sulla spiaggia ci vuole la legna, una spiaggia, una chitarra (della medesma qualità della legna da ardere) e il resto già sai; per fare una conferenza ci vogliono alberghi, ristoranti, sale riunioni, puntatori laser, computer, bancarielli per distribuire i badge, hostess appetitose per tenere svegli gli scinziati più rincoglioniti, dolćetti a volontà, accesso uai-fai al vuvvuvvù, spettacolini di intrattenimento e quant'altro. Se ne deduce (la dimostrazione è lasciata al lettore per esercizio) che una conferenza media costa quanto milleseicento-millesettecento falò sulla spiaggia, o quanto un incendio di medie proporzioni a via dei Tribunali. Chi ce li dà questi soldi? Ecco dove entrano in gioco i seminari. Servono a convincere quelli con i soldi (o, equivalentemente, quelli con la giacca) che alle conferenze si discute di cose interessantissime, si compiono grossi progressi, si stringono solide collaborazioni e ci si scambia profonde osservazioni sugli ultimi risultati. In realtà, già ve l'ho detto sopra, alle conferenze... ci siamo capiti.

Veniamo al sodo. Qualche mese fa ho fatto domanda a quelli con i soldi per andare a una conferenza a Montréal. Mi toccava di diritto, visto che era (è) una vita che non andavo (vado) a una conferenza e visto che avevo (ho) proprio voglia di vino a sbafo. Ahimè, quelli con la giacca devono aver tenuto d'occhio il mio pluzio, perché hanno deciso di non sborsare neanche una lira. Tutti, se li vogliono tenere i loro soldini, tutti tutti. Bastardi. Se li sono magnati tutti.

Poi ho capito. Magari se li fossero magnati, i soldi. Molto peggio: li hanno dati a questi tizi. Il passaggio più illuminante dell'articolo è l'occhiello:

Il segreto dell'attrazione secondo una ricerca britannica sta nella chiarezza / Bisogna far capire a chi si vuole conquistare che ci piace e dirglielo

Quanti anni hanno questi ricercatori, tredici? È più o meno da quell'età che so che quello che si butta (il mio amico) ricoglie e quello che non si butta (io) rifonde. Non solo si sono zucati i miei soldi per questa cazzata, non li hanno neanche usati per andare a una conferenza! Perle a chi non ha i porci, pane ai denti. E ormai è troppo tardi per rimediare.

Ah, mi raccomando, state lontani almeno qualche raggio di Schwarzschild da Ginevra.

giovedì 4 settembre 2008

Suspense!

Sì, d'accordo, ho il fisico a busta di latte e non riesco a chinarmi fino a terra. Ah, sì, senza occhiali vado a sbattere contro i lampioni. E mi faccio aprire le bottiglie d'acqua dalla mia ragazza. Il mio nome è sempre separato da un numero dispari di negazioni dai seguenti aggettivi:

  • macho
  • pompato
  • appetitoso
  • tornito
  • virile
  • muscoloso
  • prestante
  • vigoroso
  • sodo
  • succoso

Insomma, se ci fosse ancora da andare a caccia di mammut mi sarei già estinto da tempo. In compenso, almeno, ho un'ottima scusa per tutto ciò: ho un Ph.D. in fisica nucleare. Non ci si può mica aspettare che uno che ha dedicato tutta la sua maggiore età all'onanismo cerebrale possa aver compiuto attività fisiche più impegnative della cancellazione di una lavagna! Anzi, è anche lecito aspettarsi un po' di fiatone a lavagna pulita. Giusto? Eh. È quel che dico anch'io.

Ma.

Fino all'avvento dell'oracolo di Delfi del terzo millennio, l'unica fonte attendibile di notizie improbabili era il rinomato "Forse non tutti sanno che..." della Settimana Enigmatica, tuttora insuperato in quelle situazioni in cui l'accesso al vuvvuvvù è compromesso da occorrenze sfavorevoli, tipo in un batiscafo a tremila metri di profondità, in un hammam, sulle montagne russe o in chiesa. (Sulla chiesa ho qualche dubbio.) Appunto in una di tali situazioni mi trovavo quando ho letto il seguente trafiletto.

Il filosofo Platone prese parte come concorrente ai giochi Olimpici, vincendo due volte nel pancrazio, la gara che comprendeva lotta e pugilato.

La mia scusa preferita rischia di andare a farsi benedire. Platone? Due volte campione di pancrazio? Non è possibile.

Sapreste dire come può essere spiegato questo fatto?

SAPPIATE CHE:

  1. Platone è quello del mondo delle idee, quello dell'iperuranio, quello dell'aristocrazia, quello palloso, insomma. Nonostante ciò, la tecnica segreta di Platone non consisteva nell'addormentare gli avversari mettendo in scena da solo i suoi dialoghi e facendo le parti dei vari personaggi cambiando la voce.
  2. Nonostante il nome, il pancrazio era uno sport cruento e cattivissimo. Lotta e pugilato? Sticazzi. Leggete qua. Torsione delle dita, morsi sugli alluci, ginocchiate nei coglioni, dita negli occhi e canzoni dei Tiromancino. Roba da far rabbrividire Chuck Norris.
  3. Quando Platone ha vinto, il pancrazio non era mica disciplina dimostrativa! Altro che bocce, biliardino e tressette a perdere: alle Olimpiadi c'erano i migliori atleti del mondo (greco), energumeni vagamente somiglianti a Raul di Ken il guerriero, alti sei metri, larghi altrettanto e, soprattutto, ignudi come vermi. Platone li afferrava per le palle e strizzava come una lavandaia.
  4. Il nome "Platone", in greco "Πλάτων", si ricollega alla radice sanscrita bla, "ridurre ossa altrui in tanti pezzettini piccini".
  5. A seguito delle sue gloriose vittorie, Platone fu nominato portabandiera della squadra di Atene. La cosa più interessante è che non ha mai avuto bisogno dell'asta.
  6. Il signor Brando ha la patente da diversi anni ed è un guidatore abile e corretto.

Insomma?

Insomma, insomma... insomma Platone era il tipo che mangiava i fichi d'India con la buccia.

Con buona pace della mia scusa preferita.

L'immagine di Platone col fisicaccio è basata sulla rielaborazione di una foto di Rev. Voodoo.

domenica 31 agosto 2008

Il salame stellato

Tipica conversazione da spiaggia.

Barista:Prego.
Io:I panini li avete anche col prosciutto crudo?
Barista:Sì.
Io:Allora un panino col crudo e uno con il viustel, per favore.
Barista:(bip bip) Sei euro e cinquanta.
Io:Ecco.
Barista:Grazie.
Io:Prego.
Barista:(mettendo il panino con il crudo sulla piastra) Quello col viustel te lo vado a preparare.
Io:Occhei.

Il barista esce, prepara un panino col viustel, rientra e lo mette sulla piastra.

Barista:Il crudo, per chi era?
Io:Per me! (me lo dà)

Due minuti dopo.

Barista:Viustel!
Io:Eccolo!
Barista:Vuoi un sacchetto?
Io:Ce l'ho, grazie.

È stato a questo punto che ho avuto la mia epiphany. Dico "epiphany" perché se dico "epifania" evoco immagini di scope volanti e calze piene di dolćetti, mentre in realtà intendo fare riferimento a quel glorioso istante di illuminazione durante il quale, improvvisamente, ad un comune mortale viene concesso di intuire l'ordine e l'armonia delle parti dell'Universo e di godere della perfezione del meccanismo cosmico. È possibile raggiungere tale stato attraverso uno o più dei quattro metodi qui elencati:

  1. Attraverso la ripetizione ossessiva di un mantra e/o la meditazione su questioni come "qual è il rumore del battito di una sola mano?", "se un albero cade nella foresta e non c'è nessuno nei paraggi, fa rumore lo stesso?", o "dove cazzo ho messo le chiavi?";
  2. Attraverso lo studio del principio di minima azione;
  3. Attraverso la sospensione della propria coscienza tra gli stati di sonno e veglia (questo metodo ha una frequenza di riuscita estremamente elevata, ma tende ad attribuire ai tergicristalli un'importanza eccessiva nel significato dell'Universo);
  4. Attraverso la consumazione di sostanze illecite.

A volte, tuttavia, sembra che questo stato fortunato si produca spontaneamente, o forse viene segretamente preparato e indotto da stimoli apparentemente innocui (nel mio caso, la ripetizione ossessiva della parola "viustel" è chiaramente sospetta). Se io fossi Immanuel Kant, i miei momenti di illuminazione sarebbero probabilmente molto frequenti ed avrebbero luogo quando sono seduto nel mio studio, accinto alla composizione della "Critica della ragion pura", oppure al massimo mentre sono per strada, a passeggio, in carrozza, davanti a un caminetto a fumare la pipa o mentre ammiro un panorama dall'alto di una montagna.

Non credo sia necessario ricordare al lettore che io non sono Immanuel Kant. Questa è la ragione principale per la quale il mio momento di illuminazione mi ha colto in mutandoni, senza occhiali, con le chiappe bagnate e davanti a un bancone di panini al viustel, Eppure, da allora, sono ossessionato da un dubbio: sarà mai capitato anche a Kant di avere un'illuminazione al momento sbagliato?

Kant:Buongiorno, herr Schröder!
Macellaio:Oooh, don Immanuel, buongiorno! Come va con la sciatica?
Kant:Un po' meglio, grazie. Vostra figlia, tutto bene?
Macellaio:Sì, sì, grazie alla Madonna si è sistemato tutto.
Kant:Meno male, meno male, herr Schröder.
Macellaio:Eh, sì, meno male. Che vi servo oggi, don Immanuel?
Kant:Dunque mi fate quattrocento grammi di macinato di manzo, bello magro però, eh, mi raccomando...
Macellaio: Sì, sì, non vi preoccupate... (armeggia) ecco qua...
Kant:Poi mi date tre-quattro di quelle salsiccie che mi piacciono tanto...
Macellaio:...sì...
Kant:...poi questo salame appeso...
Macellaio:Quale?
Kant:Questo qua, sopra di me...
Macellaio:Altro?
Kant:...e la legge morale dentro di me.

giovedì 31 luglio 2008

Urg...

Devo decisamente smetterla con questo prog. Oggi ascoltavo Man-Erg e quando è finita ho pensato:

Io: Grande pezzo... peccato che sia così corto! Fammi vedere quanto dura...

Io: Agh.

martedì 15 luglio 2008

Il vero motivo per cui la vecchietta di Mary Poppins è sempre da sola

Io ho un passatempo. Se mi capita di notare un piccione che si aggira nei miei paraggi alla ricerca di una preziosissima briciola di patatina, mi immobilizzo e lascio che l'ingordo volatile si avvicini quando vuole. Quando l'ignaro è a meno di mezzo metro dai miei piedi e si è ormai completamente dimenticato di me (perché vuoi mettere una briciola di patatina con un grosso affare bipede semovente), allora io PAM! faccio un movimento improvviso, sbatto i piedi a terra e gli faccio venire un coccolone. Lo so, sono un bastardo, ma che ci posso fare se li odio.

E non si pensi che non mi renda conto di che vita di merda fanno. Ogni volta che sbatto i piedi, il piccione prende il volo subito. Non esita un istante. Questo vuol dire evidentemente che se l'aspettava. Il piccione non si può rilassare mai, vive sempre sul filo del rasoio; un po' come Sean Connery nei film di James Bond, però senza Ursula Andress in bikini.

Piccione:Uh... una briciola di patatina. Eh però mamma mia... fammi fare attenzione...
PAM!
Piccione:UMMADUNNUZZA SANTISSIMAAAAA!

Il piccione è continuamente in bilico tra la psicosi e l'infarto del miocardio; se non fosse per questo avrebbe un'aspettativa di vita di centoquaranta anni, imparerebbe a leggere e a scrivere e prima o poi diventerebbe anche Presidente del Consiglio. Invece, per (nostra) fortuna, la sopravvivenza del poveraccio è continuamente messa in forse dai mille tranelli che il mondo moderno gli tende ogni secondo. Avete mai notato che il piccione, quando cammina fa quella mossa strana col collo?

È un tic. Gli è venuto per il nervosismo. Ecco cosa succede quando il piccione preadolescente esce di casa.

Preadolescente:Ma', allora io esco.
Mamma:Esci? A quest'ora?
Preadolescente:Sono le otto di mattina.
Mamma:E dove vai? E con chi esci?
Preadolescente:A scuola, ma', mi viene a prendere il Pulcioso.
Mamma:USSANTA VERGINE questo esce col Pulcioso! E come andate?!
Preadolescente:Ma', normale, volando...
Mamma:UGGESUGGESÙ SENTITE SENTITE questi due scriteriati vogliono andare a scuola volando! E se cadete? E se vi perdete? se sbattete contro un albero? E se incontrate un'aquila?
Preadolescente:Ma', in città!?
Mamma:UGGESUGGIUSEPPESANTANNEMMARIA ma voi vedete che incoscienti! E tu vuoi uscire così? Senza cappotto? Senza sciarpa?!
Preadolescente:Eh? Senza che?
Mamma:...
Preadolescente:...
Mamma:Non lo so. Mi è venuto così.

Insomma, dopo anni di lavaggio del cervello degno di una vedova napoletana paranoica sotto Prozac alla quale sono morti dodici figli su tredici, non c'è da stupirsi che il piccione fa la fine che fa. Eppure...

Piccione:Uhm... ma quello è un pezzettino di tarallo sugna e pepe... uhm... vorrei avvicinarmi, però... devo fare attenzione... uhm... speriamo ben...
PAM!
Piccione:HHH! (sbatte due-tre volte le ali e si accascia esanime)

...mai che succeda questo.

venerdì 11 luglio 2008

Peluria di mezzi

Elenco (incompleto) di cose inutili che mio malgrado ricordo a memoria.

  • Numeri di telefono di Napoli prima che si passasse alla numerazione a sette cifre:
    • 21 70 23, casa mia.
    • 21 53 80, mia nonna.
    • 21 29 01, l'altra nonna.
    • 21 56 20, Palumbo (già Giuseppe).
  • Brani di letteratura scelta, tra cui:
    • La volpe e l'uva.
    • La favoletta del pullus gallinaceus in versione riveduta e semplificata per studenti del biennio.
    • Il carme "Carpe diem" di Orazio (il marito di Clarabella).
    • Svariate terzine della Commedia.
    • "I wandered lonely as a cloud", William Wordsworth.
  • Il paradigma parco, is, peperci (perfetto a raddoppiamento), parcitum, parcĕre.
  • Testi di canzoni che avrei volentieri dimenticato:
    • "Non amarmi", Aleandro Baldi e Francesca Alotta, Sanremo 1992.
    • "Figli", Toto Cutugno, Sanremo 1987.
    • "Back for good", Take That.
    • Certe sigle dei cartoni animati.
  • Tredici cifre significative di e.
  • Le sigle automobilistiche italiane.
  • La capitale del Burkina Faso (Ouagadougou).
  • Il mio numero identificativo su ICQ.
  • Numerose linee di autobus ATAN non più esistenti:
    • V10
    • 185
    • 118
    • 135
    • 114
    • V7
    • 101
    • 47
    • 42
    • V5
  • L'ATAN.
  • La SIP.
  • Il valore del gettone telefonico (duecento lire).
  • Il quintetto base dei Chicago Bulls 1995-1996.

Ma sai che ti dico?

root@cervello:~/ricordi# find . -mtime -5475 -type f -exec gzip \{\} \;

Tipo 1: Ti presento Tipo 2.
Tipo 2: Ciao, piacere, Tipo 2.
Davide: Piacere... eh... uh... ehm... Davide.

venerdì 27 giugno 2008

Etimologia di un soprannome

Conversazione vera svoltasi stasera su MSN tra me e Brigida. Si parla del mio ubiquo soprannome cibernetico, "Arek' Fu".

Bri:allora
Bri:che vuol dire ?
Davide:cosa
Bri:arek'fu
Davide:ah
Davide:non te l'ho detto?
Bri:no
Davide:davvero?
Bri:si
Davide:guarda che te l'ho detto
Davide:prima
Bri:no
Davide:non hai letto
Bri:no
Bri:no
Bri:no
Bri:no
Bri:no
Davide:
Bri:no
Davide:ah beh
Davide:io l'ho detto
Bri:no
Davide:se poi tu non l'hai visto
Davide:sono affari tuoi
Bri:ho già controllato
Bri:la cronologia
Bri:e nn c'è
Bri:mi disp
Bri:daiiii
Bri:ma che ti costaa
Bri:perdi + tempo a dire che nn me lo vuoi dire
Davide:quando hai detto che era un anagramma
Davide:ci sei andata vicina
Bri:eh
Bri:nel senso
Bri:che è un anagramma o no ?
Davide:anche
Davide:è l'anagramma di krfeau
Davide:che tradotto in numeri
Davide:diventa
Davide:11 18 5 1 6 21
Davide:ok?
Bri:perchè la k è l'undicesima lettera ?
Davide:esatto
Bri:ok
Bri:ed i numeri ?
Davide:ora
Davide:se li scrivi uno sotto all'altro
Davide:11
18
5
1
6
21
Davide:però allineati a destra
Bri:mmm
Davide:e scrivi
Davide:un più e un meno
Davide:un diviso e un per
Davide:e poi di nuovo un più
Bri:mmm
Davide:ottieni
Davide:165
Bri:mi stai prendendo in giro ?
Davide:no
Davide:ti sto spiegando da dove viene arek' fu
Bri:e 165
Davide:165 ok?
Bri:si
Davide:ok
Davide:165 = 118 + 47
Davide:il 47 passa sotto casa mia a napoli
Davide:e il 118 andava a mergellina
Davide:QUINDI
Davide:casa mia a napoli
Davide:+
Davide:mergellina
Davide:= ?
Davide:
Davide:mo questo passo lo fai tu
Bri:165
Davide:eh
Davide:ma 165 cosa rappresenta?
Bri:napoli
Davide:da casa mia a mergellina...
Bri:che c'è
Bri:?
Davide:che strada si fa?
Bri:da casa tua a mergellina ?
Davide:eh
Davide:la maggior parte della strada si fa sul...?
Bri:via caracciolo?
Bri:mare
Davide:ma quale via caracciolo e mare
Davide:sul corso...?
Bri:vittorio emanuele
Davide:e chi era vittorio emanuele?
Bri:o mio dio
Bri:re
Davide:eh
Davide:ma non c'entra
Davide:in che giorno è morto
Davide:lo sai?
Bri:9
Davide:9 cosa
Bri:gennaio
Davide:e cos'è il 9 gennaio?
Bri:boh
Bri:il tuo onomastico ?
Bri:ihihi
Davide:quasi
Davide:è 11 giorni dopo il mio onomastico
Davide:capito?
Davide:perché 11 giorni?
Davide:perché il ragionamento consiste di 11 operazioni matematiche
Bri:??
Bri:o mio dioo
Davide:capito?
Bri:e meno male che era una cavolata
Davide:sei contenta ora?
Bri:ma le undici operazioni matematiche
Bri:sono qlle che fai ai numeri
Bri:11
Bri:18
Bri:5
Bri:1
Bri:6
Bri:21
Davide:esatto
Bri:mmm
Bri:certo
Bri:che se te lo sei inventato
Bri:ora
Bri:non è stato facile
Bri:cioè se mi hai detto una palla per improvvisare
Davide:non avrei mai potuto
Davide:ti dispiace se metto questa conversazione sul mio pluzio? la gente me lo chiede spesso da dove viene
Bri:noo
Bri:vai
Davide:grazie
Bri:ma tu nn vuoi dirlo
Davide:perché la cabala è importante
Davide:i numeri sono potenti
Davide:hanno un influsso sugli uomini
Davide:e se qualcuno conosce i miei numeri
Davide:chissà cosa mi può fare
Bri:ma sei partito dai numeri
Bri:e sei arrivato alle lettere ?
Davide:esatto
Bri:mmm
Davide:devi provarci anche tu
Davide:non è difficile
Bri:e qnt ci hai penato ?
Davide:non troppo
Davide:due o tre mesi
Bri:azz
Davide:eh ma ne è valsa la pena
Bri:ma adesso
Bri:tutti sapranno il tuo segreto
Bri:ed i tuoi numeri
Davide:magari li censuro
Davide:lascio solo il ragionamento
Bri:ah
Bri:ok
Davide:furbo eh?
Bri:sisis
Bri:allora nn vedo
Bri:l'ora
Bri:di leggere
Bri:il pluzio
Bri:ihihi
Davide:lo comincio a scrivere ora
Davide:domani credo lo trovi
Bri:ok
Bri:vado
Bri:domani
Bri:grazie
Bri:per la tua pazienza
Davide:grazie a te...

...e ci conosciamo da vent'anni.

mercoledì 25 giugno 2008

Il dinosauro / 3

Il dinosauro era lì ad attenderlo all'uscita della metropolitana. Bemolle, il quale un po' se l'aspettava, lo ignorò e imboccò deciso il garbuglio di vicoli entro i quali egli aveva il suo domicilio legale. Il sole era tramontato ormai da un pezzo ma il Cucchiaio a Vapore non era sorto ancora; Bemolle navigò sicuro le viuzze basandosi sulla temperatura del porfido, una specialità nella quale lo uguagliavano in pochi. Il dinosauro si ostinava a camminargli accanto baldanzoso, e ad un quadrivio o due Bemolle ebbe persino la caliginosa impressione che l'animale lo anticipasse nella scelta della direzione da seguire; ciò gli indusse fastidio, e anche un paio di starnuti.

La vista del suo iglù da campeggio gli fu grata come l'avvistamento della terra per un marinaio, o forse di un distributore di benzina per un automobilista in riserva. Bemolle non seppe decidersi sulla similitudine ma pragmaticamente aprì la chiusura lampo, si introdusse nell'angusta dimora e si volse a retro a fissare l'animale, occhi negli occhi, retine nelle retine, per diversi secondi. Il dinosauro batté le palpebre, e Bemolle lo prese come un segno di cedimento. Tirò su la chiusura lampo, indossò il pigiamino e si distese a riflettere sul significato di quella apparizione e sull'immediato astio che gli aveva causato. Certo, forse era soltanto un pregiudizio, ma come ignorare quel lancinante dolore al callo? Doveva trattarsi senz'altro di un segnale monitorio. O forse era l'unghia? Eppure gli era sembrata sana ed in piena forma quando l'aveva controllata per l'ultima volta, sul treno merci, prima di abbandonarsi alla deriva del sonno.

Fu in quel momento che Bemolle capì. I barili, il dinosauro, la metropolitana... tutto aveva avuto origine dacché si era appisolato in quel vagone, e tutto aveva la vividezza surreale di un sogno. Disteso sul suo materassino gonfiabile, egli colse il nonsense della sua avventura e intuì che soltanto assopendosi avrebbe potuto spezzare l'incantesimo, compensare il pisolino e annullare il sogno. Mentre chiudeva il cerchio, egli visualizzò semicoscientemente la circuitazione di una funzione analitica.

Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì.

martedì 24 giugno 2008

Il dinosauro / 2

Come tollerare una tale violenza contro l'armonia del cosmo? Indignato, Bemolle si diresse a grandi falcate verso la rottura spontanea di simmetria, deciso a rimettere in piedi il barile o, quantomeno, a procurarsi un'ernia nel tentativo di riuscirci. Quale non fu il suo sollievo, dunque, quando si accorse che la rottura di simmetria non era stata affatto spontanea! Un dinosauro arancione lo aveva sbadatamente abbattuto con un colpo di coda e ora fissava la gracilità di Bemolle con uno sguardo a metà tra l'incredulo e il perplesso, come se non avesse mai visto un essere simile, o come se tutti gli esseri simili che avesse visto fino a quel momento fossero stati esclusivamente dei gasteropodi.

Bemolle, dal canto suo, era ben grato al voluminoso quadrupede di aver reso superflua ogni ipotesi di rottura spontanea di simmetria per spiegare la natura di un ensemble di barili di colorante e, dunque, dell'universo; tuttavia, la sua riconoscenza, che sarebbe stata normalmente espressa attraverso salti, piroette e gighe, era repressa da un infausto presentimento di guai. Bemolle, gli occhiali volti al suolo, si limitò a biascicare un confuso "mmmmgraz" prendendo distrattamente a calci la polvere. Il dinosauro batté le palpebre.

— Lo sapevo che mi sbagliavo. Per fortuna, eh? Eh, eh. Figuriamoci. Rottura spontanea... eh, eh.

Il dinosauro batté di nuovo le palpebre.

— Ehm. Lei è un tipo silenzioso. Mi piacerebbe restare qui a fare conversazione da solo, ma devo proprio andare a pulirmi le orecchie.

Bemolle fece per andarsene, ma il dinosauro gli tenne dietro.

— Ah, prende anche lei la metropolitana? Mmm. Mi fa piacere. Facciamo un po' di strada insieme.

I due si diressero insieme verso la strada. Bemolle si voltava indietro ogni cinque passi per controllare se la bestia lo continuasse a seguire e le indicava le gru dello scalo merci a destra e a manca nella speranza segreta di distrarla e farle perdere le proprie tracce. Per una attimo sembrò quasi che un container rosso potesse servire allo scopo; ma il nostro anti-Orfeo non si era allontanato neanche di pochi metri che già la sua anti-Euridice aveva ripreso a trottargli accanto briosamente.

Fu in questa configurazione che i due si trovarono a imboccare il budello ctonio che conduceva al binario della metropolitana. Bemolle obliterò ossequioso, passò il tornello e si voltò a guardare il dinosauro con aria di sfida. Il rettile dapprima si guardò intorno incerto; poi acquistò un biglietto al distributore, obliterò e raggiunse il suo compagno senza dare mostra di alcun risentimento. "Outrageous", pensò Bemolle salendo sul treno. Il dinosauro lo seguì, urtò un vecchietto, si scusò e si accucciò. Non soltanto l'omino non sembrò affatto turbato dal fatto che un rettile estinto da sessantacinque milioni di anni si fosse scusato di averlo spintonato, ma il dinosauro si era persino seduto in modo da non intralciare il flusso dei viaggiatori che salivano e scendevano dal treno.

Nella pur breve durata del tragitto ipogeo, l'indignazione di Bemolle ebbe tutto il tempo di montare a livelli di interesse per studi clinici sulla cirrosi epatica. Il dinosauro aiutò una ragazza con una grossa valigia, studiò la mappa della metropolitana con aria di annoiato interesse e, nel complesso, assunse la normalissima aria del pendolare ventennale.

Irritato dalla dimestichezza dell'animale, Bemolle decise di scendere a Porta Pangolo e di aspettare il treno successivo. Il dinosauro si limitò a rivolgergli il secondo sguardo perplesso della giornata e non fece cenno di volerlo seguire. Bemolle, segretamente, esultò. Il treno seguente era più affollato, ma lo scambio sembrò equo al rasserenato Bemolle, che poté di nuovo dedicarsi all'attività che aveva lasciato in sospeso sul treno merci, cioè il conteggio delle biscrome nelle Variazioni Goldberg.

lunedì 23 giugno 2008

Il dinosauro / 1

Bemolle cominciava a pentirsi del fatto di essersi allacciato il mocassino quella mattina. Se non si fosse fermato, non avrebbe trovato il gabinetto occupato da quel bellimbusto odoroso di Oro Saiwa che, ahilui, aveva approfittato di pochi passi di vantaggio per frapporsi tra Bemolle e la soddisfazione di alcune sue impellenze. Se fosse acceduto alla ritirata quando sperava di farlo, sicuramente non avrebbe avuto necessità di solfeggiare melodie baritonali con il suo colon irritato; e se non avesse ceduto alle lusinghe della sua flautolenza, difficilmente le altre persone in fila lo avrebbero coscienziosamente percosso fino a costringerlo alla fuga (anche se non si può mai dire).

Se non avesse avuto bisogno di correre, probabilmente non si sarebbe slogato un'altra volta quel maledetto premolare, compromettendo la funzionalità della sua manducazione; e se non fosse andato alla ricerca di un pizzicagnolo per acquistare del semolino, se non avesse chiesto indicazioni a quel tombino, se non si fosse fidato del tombino, se non fosse salito su quel treno merci... Bemolle vedeva ora chiaramente il disegno soprannaturale che si celava dietro le avventure della mattinata; gli sembrava quasi di sentire il tocco impalpabile di una Mano trascendente che con calcolata maestria gli scioglieva il laccio del mocassino e metteva in moto l'inarrestabile carambola di eventi che lo avrebbe confinato per ore tra alcune centinaia di barili di colorante E124 "Rosso cocciniglia A".

Sequenze simili di occasioni mancate e ipotesi non soddisfatte possono avere luogo solo in sdolcinati drammi d'amore elisabettiani; una concatenazione tanto palese di cause ed effetti, rifletteva Bemolle, apparterrebbe più alla letteratura che alla realtà. Eppure, eccolo lì a lasciarsi cullare dai giunti di dilatazione dei binari, consapevolmente rassegnato (o abituato?) all'impossibilità di dare forma propria alla materia fluida della sua esistenza. Ecco, forse, a cosa pensava Bemolle, le gambe contro il petto, la testa tra le ginocchia, la fronte aggrottata in uno sforzo di concentrazione. Oppure, più verosimilmente, egli si contava le unghie dei piedi.

Nella penombra del vagone ferroviario, Bemolle sonnecchiava esausto dopo gli sforzi dell'intensa giornata e abbandonava le sue cervella all'immaginifica intercapedine tra sonno e veglia, dove gli attaccapanni si trasformano in acquedotti e le spalliere delle sedie in giaguari accucciati con una zampa alzata e un grosso telefono cellulare primi anni '90 tra le fauci. In questo mondo di metamorfosi può accadere di tutto; persino nulla.

Difatti, non accadde nulla. Quando Bemolle si risvegliò il treno era fermo, il portellone del vagone aperto, e dei muscolosi energumeni allineavano i barili di colorante in ordinati schieramenti a favo d'ape. Quale affascinante simmetria, si disse Bemolle avvicinandosi rapito, e fu tentato di lambiccarsi il cervello per intuire quale gruppo la descrivesse matematicamente; ma le sue pippe mentali furono interrotte da un improvviso clangore. Uno dei barili si era rovesciato, rompendo spontaneamente la simmetria esistente.

mercoledì 18 giugno 2008

La cena degli avanzi

Nella miglior tradizione della cucina degli avanzi, questa sera vi propino un'ammescafrancesca di foto che non sono riuscito a infilare nelle rispettive gibelle di pertinenza e che mi sono rimaste sul groppone. Meglio che le pubblico, se no poi scadono e le devo buttare.


Il sogno di ogni studente di Fisica I.

Se questa foto vi fa pensare a un ramo di iperbole, non preoccupatevi, è normale.

Se non vi fa pensare a un ramo di iperbole, non preoccupatevi, è più normale.


Parigi, una città kafkiana.


Le dieci differenze.


La stazione di Liegi, un'opera di Santiago Calatrava. E com'è? Bella?


Roma, via dell'Umiltà, 36.

Anche Roma è una città kafkiana.


E per finire, il dessert.

martedì 10 giugno 2008

Dove osano i chi quadri

Va bene, mi arrendo. È ormai un mese che ci penso e non riesco a capire che significa. Di cosa parlo? Di questo.

Questo istogramma rappresenta il numero di gibelle di questo pluzio in funzione del numero di commenti che hanno generato, aggiornato a ieri sera. Per esempio, ci sono sedici gibelle che hanno ricevuto due commenti. Chiaro? Bene.

La sgargiante linea rosa shocking, invece, è un fit esponenziale. L'equazione della curva è

dove λ è un parametro libero, gλ(n) è il numero di gibelle aventi n commenti e Nc è il numero totale di commenti. Per determinare il parametro λ, ricorriamo al trucco preferito di legioni di pezzottatori di dati: il celeberrimo metodo del χ2, meglio noto come chi quadro.

Il gioco funziona così. Si definisce il chi quadro in questo modo:

Qui G(n) rappresenta il numero di gibelle che hanno effettivamente ricevuto n commenti (dato sperimentale registrato da me; private communication). Nella somma ho raggruppato i bin con n > 5 per ragioni di significatività statistica. Domande? Dubbi? Curiosità?

Bene. Il chi quadro dà un'indicazione quantitativa su quanto la distribuzione teorica gλ(n) sia in grado di descrivere la distribuzione sperimentale G(n). Più piccolo è il chi quadro, migliore è l'accordo. Il pezzotto consiste nello scegliere il valore del parametro λ che rende minimo il chi quadro. In altre parole, si impone

e si risolve l'equazione per λ. Numericamente, io ottengo λ = 0.6305, che è anche il valore che ho utilizzato per il grafico.

Fin qui, tutto chiaro (...). Il problema è che il valore del chi quadro è piccolo. Davvero piccolo. Tipo 0.77, con quattro gradi di libertà. Vado a guardare il P-valore... ecco, 94%. Ho o non ho ragione a sbalordire?

Auff. Si trova. Si trova troppo. Questa legge esponenziale vuol dire qualcosa. Sta cercando di dirmi qualcosa. È evidente.

Ma io non capisco.

lunedì 9 giugno 2008

Two visions

Ieri sono andato al festival del jazz di Liegi a rifarmi un po' le orecchie dopo quattro anni di esilio musicale in Scandinavia, dove la gente è troppo impegnata ad ascoltare musica sciacquapalle per dedicarsi a Stan Getz. Come biasimarli? Lo so. Come paragonare un quintetto che totalizza circa un secolo di studi musicali a un affascinante vocalist dagli occhi seducenti e dalla pelvi disarticolata?

(Nota personale: smettere di parlare male della Svezia. Ormai ne sono uscito. Vivo. Quasi.)

Un festival di jazz rappresenta inoltre una solida àncora di salvataggio per uno che difficilmente ascolta musica scritta dopo il 1978, anno in cui tutti i più grandi musicisti dei gloriosi anni sessanta e settanta sono stati coercitivamente lobotomizzati in blocco (secondo me i Ramones ne sanno qualcosa) e hanno cominciato a suonare come gli Asia. Persino i Queen, per i quali nutro sempre massimo rispetto, non sono stati più gli stessi dopo il '78.

In realtà poteva andarmi male anche al festival di jazz. Per esempio, a un certo punto siamo andati ad ascoltare Mona Murray. Sarà un pregiudizio mio, ma ho sempre un po' di difficoltà a rapportarmi a una donna che si chiama Mona, specie se va in giro con una scollatura ombelicale. Va be', è ammericana, è una tipa free. Mona (...) entra sul palco e si trova davanti una platea di un centinaio di persone che hanno pagato circa trenta euro pro capite per ascoltare jazz; età media, cinquanta; tutti seduti, tipo teatro. La gente nota il generoso décolleté, si scambia occhiate fugaci e trae conforto dalla perplessità dei vicini ("ah, allora non sono solo io").

Ma Mona (...chiamamola "la tipa") tranquillizza tutti nel suo francese un po' approssimativo.

Tipa: Dans ma musique il y a du jazz, du blues, du country, du rock... tout!
La tipa ammicca al pubblico. Il pubblico si scambia altri sguardi perplessi.
Tipa: Maintenant je vais chanter une chanson... je ne sais pas si vous parlez un peu d'anglais... la chanson s'appelle: "Let me feel your body"! (ammicca maliziosa)
Colpi di tosse in sala.
Tipa: Oui, je crois que c'est compris...!
Comincia a cantare musica sciacquapalle.

Io e Caterina, terza fila, ci guardiamo (perplessi, of course) e a gesti decidiamo di scappare al termine del pezzo.

Ma a questo punto vengo colto da una visione.

Davide e Caterina si alzano e cercano di filarsela.
Tipa: Oh, no! Don't leave!
Davide: Ehm.
Tipa: Why are you leaving so soon? Don't you like my music?
Davide: Er. Yes. Sorry. Thing is... you know... we really gotta go. I've got to...
Lo sguardo vaga disperato alla ricerca di salvezza.
Davide: ...breastfeed my children.

Non racconterò di come mi sono esaltato per il jazz funk dei sei componenti del James Taylor quartet (sic); mi preme molto di più narrare come il gruppo è stato presentato.

Omino col papillon: ...ma prima di far entrare il gruppo vi vorrei chiedere di fare un applauso per ringraziare il nostro sponsor...
Clap clap clap.
Omino col papillon: ...e per ringraziare i nostri tecnici del suo--
Continua a muovere la bocca ma non si sente più nulla.
Omino col papillon: --ll'applauso, per favore!
Clap clap clap.
Omino col papillon: Devo inoltre comunicarvi che il concerto di Abdullah Ibrahim non si terrà alle ventidue e trenta ma alle ventitré. D'accordo? Eh, eh. (Assume un'aria un po' imbarazzata.) Inoltre, vi vorrei avvisare che alle ventitré in punto saremo costretti a chiudere le porte e a non lasciare entrare più nessuno.
Mormorio di stupore.
Omino col papillon: Eh, sì, e non si possono fare foto.
Mormorio di disapprovazione.
Omino col papillon: Questa in realtà è una richiesta dell'Artista [giuro che ho sentito la maiuscola] perché la sua musica è molto intimista, voi capite, e il minimo rumore lo può far deconcentrare. È capace di alzarsi e andarsene!

È qui che vengo colto dalla seconda visione della serata.

Capo: Davide, puoi farmi vedere quei risultati?
Davide: Ah, sì. Eccoli. Ora produciamo più cluster a bassa energia, però abbiamo anche ridotto...
Capo: Ma gli spettri dei protoni come sono?
Davide: Eh, no, mo basta. Sei qui per ascoltare o per fare conversazione?! Io sto creando e tu mi interrompi! E io poi perdo il filo!

Esce dalla stanza sbattendo la porta.

Capo: ...

La porta si riapre.

Davide: ...e niente fotografie!